Trapianti: si può ‘preparare’ il sistema immunitario ad accettare l’organo

Il trial clinico

Trapianti: si può ‘preparare’ il sistema immunitario ad accettare l’organo

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Immagine: Official Navy Page from United States of AmericaKRISTOPHER RADDER/U.S. Navy, Public domain, via Wikimedia Commons
di redazione
Un trial clinico fase 1 ha valutato la sicurezza e la fattibilità, ma in parte anche l’efficacia, di una nuova procedura che potrebbe eliminare il rischio di rigetto e il ricorso agli immunosoppressori. Si tratta dell’infusione di cellule immunitarie del donatore una settimana prima del trapianto

L’organo è di un estraneo, ma il sistema immunitario non se ne accorge. “L’inganno” è riuscito a un gruppo di ricercatori dell’Università di Pittsburgh che ha riportato su Science Translational Medicine i risultati di un trial clinico su pazienti in attesa di un trapianto di fegato. 

Una settimana prima dell’intervento, i riceventi venivano sottoposti a un’infusione di cellule immunitarie derivate dal donatore. Un modo per far sentire il nuovo organo “a casa” propria. 

In questo modo infatti il fegato del donatore viene “accolto” dal sistema immunitario come se si trattasse di un “vecchio conoscente” e non di un intruso da attaccare. Secondo i ricercatori, questa procedura potrebbe ridurre drasticamente il rischio di rigetto ed evitare il ricorso prolungato agli immunosoppressori. Questi farmaci, indispensabili per la riuscita dei trapianti, possono causare gravi effetti indesiderati e favorire anche lo sviluppo di malattie come cancro, diabete, insufficienza renale oltre a indurre una maggiore suscettibilità alle infezioni. 

Il trapianto di fegato è un caso sui generis. La donazione può essere effettuata da una persona vivente che può cedere una porzione dell’organo visto che il fegato ha la capacità di rigenerarsi.

La porzione ceduta al ricevente, così come la porzione rimasta al donatore, cresce fino a raggiungere la dimensione fisiologica. 

Nel trial clinico di fase 1 sono stati coinvolti 15 pazienti in attesa di ricevere un trapianto di fegato da donatore vivente che sono stati sottoposti all’infusione di cellule immunitarie del donatore. Gli esiti dell’intervento sono stati confrontati con quelli di 40 pazienti che non erano stati sottoposti alla procedura. 

Diverse settimane prima dell’intervento chirurgico, i ricercatori hanno prelevato il sangue dei donatori per poi estrarne solamente i monociti, un tipo di globuli bianchi con un ruolo chiave nella difesa immunitaria. I monociti sono stati indotti a produrre cellule dendritiche regolatorie (DCregs), un tipo di cellula immunitaria che aiuta il sistema immunitario a distinguere gli invasori che devono essere eliminati dalle parti del corpo che invece dovrebbero essere lasciate intatte. Una settimana prima del trapianto, i DCreg appena prodotti sono stati infusi nei pazienti riceventi. Dopo il trapianto i pazienti sono stati trattati con farmaci immunosoppressori proprio come sarebbe accaduto se non avessero ricevuto le cellule immunitarie del donatore. 

Trattandosi di un trial di fase 1, l’obiettivo principale della sperimentazione era determinare la fattibilità e la sicurezza della procedura. Ebbene, non è stata osservata alcuna differenza nella sicurezza tra i pazienti trattati con DCreg e i pazienti sottoposti a terapia standard. I ricercatori però sono andati oltre e hanno confrontato l’attività immunologica nei due gruppi di pazienti, quelli sottoposti all’infusione e quelli che avevano eseguito direttamente il trapianto. A distanza di un anno dal trapianto, i pazienti che avevano ricevuto l’infusione di DCreg avevano anche livelli inferiori di quelle cellule immunitarie indicative di una reazione negativa al fegato trapiantato.

«I risultati di questo studio sono molto incoraggianti. In questo momento, stiamo raccogliendo dimostrazioni preliminari del fatto che questo intervento possa modificare la risposta immunitaria del ricevente in modo tale da ridurre in maniera sicura – o addirittura eliminare – l’immunosoppressione. Sarebbe un vantaggio significativo per la comunità dei trapianti se i pazienti non dipendessero più indefinitamente dagli immunosoppressori», ha affermato Angus W. Thomson, professore di immunologia e chirurgia alla Pitt University. 

In studi su animali, i ricercatori hanno verificato che l’infusione di cellule immunitarie del donatore prima del trapianto permette di interrompere la terapia con farmaci immunosoppressori senza conseguenze.