Tumore del collo dell’utero: cure più efficaci con l’immunoterapia
Dopo 25 anni potrebbe cambiare le modalità di trattamento del tumore della cervice uterina con un grande vantaggio per le pazienti in termini di controllo della malattia e di sopravvivenza. Uno studio multicentrico di fase III pubblicato sulla rivista Lancet ha infatti scoperto che l’aggiunta dell’immunoterapia al trattamento standard con chemio-radioterapia riduce del 30% il rischio di progressione della malattia o di morte.
Lo studio è stato ideato e coordinato da Domenica Lorusso, oggi responsabile della Ginecologica Oncologica di Humanitas San Pio X e professoressa ordinaria di Humanitas University, mentre era responsabile UOC Programmazione Ricerca Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS a Roma.
La ricerca ha coinvolto 1060 pazienti con una nuova diagnosi di cancro alla cervice ad alto rischio e localmente avanzato, arruolate in 176 centri di 30 paesi nel mondo, tra giugno 2020 e dicembre 2022.
Le pazienti sono state assegnate a due gruppi: uno a cui è stato somministrato l’immunoterapia pembrolizumab in aggiunta al trattamento chemio-radioterapico seguito da un trattamento di mantenimento con il solo pembrolizumab, l’altro a cui è stato somministrato un placebo in aggiunta al trattamento standard.
Pembrolizumab è un anticorpo monoclonale che inibisce l’attivazione di una proteina di superficie delle cellule T, chiamata PD-1. Inibire questa proteina durante il trattamento di un tumore è importante perché PD-1 funziona come un freno: quando viene stimolata indebolisce l’azione delle cellule T e quindi di tutta la risposta immunitaria, favorendo la proliferazione del tumore. Non a caso molte cellule tumorali esprimono sulle loro membrane delle proteine che si legano a PD-1 e la attivano, impedendo così alle cellule T di riconoscere e attaccare il tumore. Inibendo PD-1, il pembrolizumab interferisce quindi con uno dei meccanismi che il tumore utilizza per proteggersi dall'attacco del sistema immunitario.
Secondo i risultati dello studio, a due anni dal trattamento, il pembrolizumab riduce il rischio di progressione della malattia o di morte del 30%. Gli effetti del trattamento si sono visti a partire già dalla prima valutazione radiografica e sono proseguiti nel tempo. Per questo i ricercatori credono che la differenza tra i due gruppi in termini di efficacia, e quindi il miglioramento conferito da pembrolizumab, possa aumentare man mano che prosegue il follow-up.
«Si tratta di un traguardo importante, dal momento che il trattamento convenzionale, in uso dal 1999, ha un’efficacia limitata, soprattutto per le pazienti con la forma localmente avanzata della malattia», afferma Domenica Lorusso. «Studi precedenti avevano già mostrato miglioramenti con l'uso di pembrolizumab, sia da solo che in combinazione con regimi chemioterapici, ma solo in pazienti con cancro cervicale metastatico o in recidiva. Questa è la prima volta che testiamo il trattamento in prima linea, per le nuove diagnosi di tumori localmente avanzati».
«È il primo studio a riportare un miglioramento significativo nella sopravvivenza per il cancro cervicale localmente avanzato e ad alto rischio. Crediamo che questi dati possano aprire la strada a un nuovo approccio terapeutico combinato – immunoterapia e chemio-radioterapia – per questo tipo di tumore», aggiunge Giovanni Scambia, direttore dell’Unità Operativa di Ginecologia Oncologica del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, che ha preso parte allo studio.
Il carcinoma della cervice uterina è il secondo tumore ginecologico per frequenza tra le donne, dopo il tumore dell’endometrio, con circa 2.500 nuove diagnosi (1,3% di tutti i tumori femminili) stimate nel 2022. È causato nel 97% dei casi da un’infezione da Papillomavirus umano, che si trasmette per via sessuale. Questo tumore si può prevenire con la vaccinazione contro l’Hpv offerta gratuitamente a uomini e donne dai 12 ai 26 anni di età e con gli esami di screening con Pap-test o Hpv-DNA test. Il Pap test va eseguito ogni tre anni a partire dai 25 anni (le indicazioni cambiano in caso di risultato positivo); il test Hpv ogni 5 anni dai 30-35 anni.