Tumore al seno: la rimozione preventiva delle ovaie aumenta la sopravvivenza
Non c’è più bisogno di definirli i “geni Jolie”, perché dal 2013, ossia da quando la celebre attrice decise di sottoporsi a una mastectomia preventiva per ridurre il rischio di sviluppare un tumore al seno, i geni BRCA1 o 2 hanno acquistato una notorietà, tutta negativa, tale da consentire di chiamarli semplicemente con il loro nome.
Oggi, rispetto a dieci anni fa, si hanno informazioni più precise sulle conseguenze della presenza di quelle mutazioni: la mutazione BRCA1 comporta una probabilità dal 60 all’80% di ammalarsi di tumore mammario e del 40% di tumore ovarico, la mutazione BRCA2, rispettivamente dal 40 al 70% per la mammella e del 18% per l’ovaio. La ricerca non ha mai smesso di cercare approcci terapeutici per cercare di limitare il più possibile i danni di una sfortunata genetica.
Uno di questi approcci viene proposto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano (INT) in uno studio appena pubblicato su Jama Surgery Prophylactic Salpingo-Oophorectomy and Survival After BRCA1/2 Breast Cancer Resection.
Gli scienziati hanno osservato che la salpingo ovariectomia profilattica, ossia l’asportazione preventiva delle tube e delle ovaie, condotta in pazienti operate di neoplasia mammaria e portatrici di mutazione germinale BRCA 1 o 2, offre un significativo miglioramento di sopravvivenza rispetto alla scelta conservativa.
Lo studio ha evidenziato un’evidente diminuzione di mortalità per neoplasia ovarica, forma tumorale che ha un’alta incidenza nelle pazienti mutate soprattutto BRCA1 e un effetto protettivo in termini di riduzione di mortalità per carcinoma mammario soprattutto in pazienti con tumore al seno triplo negativo.
«Il lavoro scientifico che abbiamo condotto è stata fonte di informazioni basilari. Prova con dati inconfutabili il ruolo fondamentale della salpingo-ovariectomia profilattica, cioè dell’asportazione di ovaie e tube, nel determinare un significativo miglioramento della sopravvivenza globale e riduzione della mortalità specifica in donne operate di carcinoma mammario e portatrici di mutazione germinale BRCA 1 o 2», sottolinea Gabriele Martelli, oncologo e chirurgo senologo S.C. Chirurgia Generale oncologica 3 – Senologia e prima Firma dello studio –.
Lo studio, che esce proprio nel mese di ottobre dedicato alla sensibilizzazione sul tumore al seno, offre una speranza in più a pazienti che conoscono bene quali rischi comporta la loro condizione.
«Questa ricerca aggiunge un prezioso tassello nella lotta contro i tumori del seno e delle ovaie, e fornisce risultati che rinforzano ancora di più il nostro posizionamento in ambito oncologico», specifica Marco Votta, presidente INT.
Lo studio di coorte è stato condotto su 480 pazienti che hanno subito un intervento chirurgico per cancro al seno tra il 1972 e il 2019 presso l' Istituto Nazionale dei Tumori di Milano: 290 pazienti (60,4%) avevano la variante BRCA1 e 190 (39,6%) la variante BRCA2.
«Le donne oggi sono consapevoli di ciò che significa una diagnosi di tumore e sanno quale rischi può portare con sé la presenza di una mutazione genetica. Vogliono essere rassicurate, ma soprattutto informate e con dati scientifici alla mano, al fine di scegliere il percorso che dà più fiducia, che permetta di proseguire coi progetti di vita. Con i risultati di questo studio possiamo farlo perché abbiamo più informazioni sostanziali nell’approccio alla malattia e soprattutto nelle donne con tumore al seno BRCA1 che si ammalano da giovani. Vale a dire, quando la costruzione dei progetti di vita è all’apice», spiega Martelli.
È noto che i programmi di screening per la neoplasia ovarica, pur prevedendo periodiche visite ginecologiche con eco transvaginale, non hanno ottenuto i risultati sperati perché anche una diagnosi relativamente precoce non si è tradotta in una riduzione di mortalità. «Le pazienti nel nostro studio sono state seguite per lungo tempo, il follow up arriva a 47 anni ed è il più lungo registrato in letteratura. Da questo studio si è visto che nel caso di pazienti portatrici di mutazione germinale BRCA 1 e 2 operate di neoplasia mammaria e non ovariectomizzate, la mortalità per neoplasia ovarica è decisamente superiore a quella mammaria. È emerso anche che circa il 10% di pazienti con mutazione germinale BRCA1 che non si è sottoposta a una ovariectomia profilattica ha manifestato una neoplasia ovarica in età inferiore a 42 anni con una mortalità per questa malattia superiore al 60%. Nessuna paziente con mutazione germinale BRCA2 non sottoposta a ovariectomia profilattica ha manifestato una neoplasia ovarica in età giovane. I risultati di questo studio consigliano per pazienti con mutazione germinale BRCA1 un percorso di ovariectomia profilattica a partire dall’età di 35 anni. In questi casi, il congelamento degli ovociti potrebbe essere una buona soluzione in caso di desiderio di una gravidanza», continua Martelli.
Lo studio mette in luce anche l’effetto protettivo della salpingo-ovariectomia profilattica quando la diagnosi è di tumore al seno BRCA positivo triplo negativo. «Abbiamo ottenuto più informazioni importanti e tutte cambiano l’approccio alla malattia. Per quanto riguarda il tumore mammario triplo negativo, saranno probabilmente necessari ulteriori approfondimenti per capire il meccanismo alla base, ma il dato è inconfutabile ed emerge chiaramente che l’intervento di ovariectomia profilattica migliora di molto la prognosi di pazienti portatrici di neoplasia mammaria triplo negativa», dice Martelli.
Ultimo, ma non meno importante, nello studio è stata condotta anche l’analisi di confronto tra le donne sottoposte a mastectomia e quelle a quadrantectomia, cioè solo ad asportazione del nodulo. «Anche nel caso di tumore al seno BRCA mutato, non ci sono controindicazioni all’esecuzione della quadrantectomia, se il nodulo ha le caratteristiche che lo consentono. È emerso che il rischio cumulativo di recidiva locale a 25 anni in pazienti sottoposte a quadrantectomia è circa il 25 per cento (1% annuo), cioè più di due volte superiore rispetto a pazienti non mutate, senza che questo apporti differenze per quanto riguarda il rischio di mortalità, rispetto alla mastectomia. La valutazione quindi se procedere o meno con l’intervento demolitivo, va valutato in base alla situazione clinica, ma anche psicologica della donna. Se si sente più sicura, anche in assenza di indicazioni in tal senso, si procede con la mastectomia totale. Fermo restando, l’intervento di salpingo-ovariectomia», chiarisce Martelli.
I ricercatori hanno raccolto dati anche sulla mastectomia profilattica.
«Ci sono dati di rilievo anche per quanto riguarda la mastectomia profilattica. Vale a dire, l’intervento che viene eseguito alla mammella controlaterale non aggredita dalla malattia, oppure quello che la paziente decide di eseguire sia al seno sano, sia a quello già operato con la quadrantectomia, dopo aver ricevuto l’esito positivo alla mutazione germinale. In entrambi i casi, dallo studio non si evince una significativa diminuzione di mortalità nelle pazienti mutate con neoplasia mammaria che hanno effettuato l’intervento profilattico, rispetto a quelle che non l’hanno effettuato poiché è determinante il profilo biomolecolare, ovvero il grado di aggressività della malattia mammaria iniziale. La mastectomia profilattica è dunque da personalizzare e consigliare a pazienti con tumore a buona prognosi, a pazienti con un lungo intervallo libero di malattia, e alle pazienti che vivono uno stato di ansia per un eventuale recidiva o insorgenza di tumore controlaterale», conclude Martelli.