La broncopneumopatia cronica ostruttiva colpisce oltre 3 milioni di italiani.
È una malattia cronica e progressiva. Nel tempo causa una perdita di funzionalità polmonare che peggiora la qualità di vita e aumenta il rischio di morte.
La terapia può rallentare o bloccare questa degenerazione. È tuttavia necessaria una diagnosi tempestiva e assumere in maniera ottimale i farmaci.
Bpco, l’importanza di prenderla sul serio
31 luglio 2024
Con il contributo non condizionato di
«Pensate a una persona che scopre di avere la pressione alta. Immediatamente va dal medico, comincia a misurare la pressione e ad assumere la terapia che gli viene prescritta. Per la broncopneumopatia cronica ostruttiva spesso non è così. Le persone fanno fatica a convincersi che sono veramente malate». Michela Bezzi dirige l'Unità di Pneumologia dell'Asst Spedali Civili di Brescia e descrive così il paradosso che avvolge la Bpco, una malattia seria, che può essere ben controllata, ma solo se le si dedica la giusta attenzione, fin dal riconoscimento dei campanelli d’allarme e, poi, nella lunga convivenza che si protrae per tutta la vita.
Michela Bezzi è uno dei medici che ha partecipato a “I dialoghi del respiro”, un progetto di HealthDesk realizzato con il supporto non condizionato di GSK, che ha visto la giornalista scientifica Roberta Villa confrontarsi con i maggiori esperti di Pneumologia in una serie di dirette trasmesse sui canali social di HealthDesk.
L’obiettivo del progetto è quello di aumentare la consapevolezza sulla patologia per favorire una diagnosi tempestiva, dato che secondo una recente indagine Doxa Pharma circa un italiano su due non la conosce, ma anche fornire a chi già sa di essere malato gli strumenti per prendersi cura al meglio della propria salute.
Malato un italiano su venti
«Bpco è un acronimo che sta a identificare la broncopneumopatia cronica ostruttiva. Esattamente come dice il nome, è una malattia che interessa sia i bronchi sia i polmoni, è caratterizzata da un’ostruzione, cioè dalla chiusura dei bronchi stessi, e ha un andamento cronico, quindi è una malattia che quando compare purtroppo rimane per tutta la vita», spiega Pierachille Santus, responsabile della Pneumologia dell'ospedale Sacco di Milano.
Si tratta di una malattia cronica e invalidante molto diffusa: in Italia si stima ci siano 3,3 milioni di persone che ne soffrono.
I sintomi, di solito, peggiorano lentamente. All’inizio sono lievi e il paziente non ci fa quasi caso: tosse, catarro, progressiva difficoltà a fare attività fisica.
«Spesso i pazienti tendono a considerare normale questa situazione attribuendola al fatto di essere fumatore. Non è così», avverte Santus. «Se si hanno più di 40 anni, si è fumatori e si presentano questi sintomi è bene rivolgersi al proprio medico per eseguire una spirometria, un esame semplice, non invasivo, non doloroso e dal responso immediato che permette di fare la diagnosi di Bpco».
Con il passare del tempo, infatti, i sintomi possono aggravarsi, di pari passo all’aumento dei cambiamenti a carico delle strutture dei polmoni, che non sono reversibili. Le terapie servono proprio a evitare questa progressione della malattia. Quanto prima si inizia, tanto maggiori sono le chance di limitare il danno a carico delle strutture respiratorie.
Mettere un freno alla Bpco
Smettere di fumare resta il primo importante passo per fare fronte alla Bpco. Ma non è sufficiente senza una terapia appropriata.
«Negli ultimi anni si è vista una nuova alba per il trattamento della Bpco», dice Dejan Radovanovic, pneumologo anch'egli all'ospedale Sacco di Milano.
«Oggi l’obiettivo è quello di cristallizzare la patologia ed evitarne la progressione nel tempo». Per farlo, un ruolo fondamentale è svolto dai farmaci broncodilatatori, medicinali che causano un rilassamento della muscolatura che circonda i bronchi, con conseguente miglioramento della respirazione.
«Da qualche anno abbiamo capito che l’associazione di due broncodilatatori potenzia l’un l’altro producendo un effetto che è più della somma delle due molecole», continua Radovanovic.
Inoltre, «l’assunzione per via inalatoria, attraverso sofisticati dispositivi, permette di far raggiungere al principio attivo direttamente i polmoni, garantendo il massimo dell’efficacia anche con basse dosi di farmaco. Inoltre si rende più semplice l’assunzione per i pazienti». In alcuni di loro può essere utile anche l’uso dei cortisonici, che possono essere assunti insieme ai doppi broncodilatatori in un unico dispositivo, nella cosiddetta triplice terapia.
Questo approccio si è dimostrato molto efficace nel controllare i sintomi e in grado di ridurre il rischio di riacutizzazioni, cioè di eventi acuti caratterizzati dal peggioramento dei sintomi respiratori.
«Sono eventi catastrofici per i pazienti», aggiunge Radovanovic. «Ripetute riacutizzazioni determinano un peggioramento della funzionalità respiratoria. Spesso necessitano del trattamento con antibiotici e di steroidi sistemici. Le riacutizzazioni tendono ad aumentare nel tempo con conseguente aumento del rischio di finire in pronto soccorso e in ospedale o di avere un'insufficienza respiratoria, quindi un'importante riduzione dell’ossigeno».
L’importanza della regolarità
Evitare le riacutizzazioni è il fine ultimo della terapia. Per raggiungere questo obiettivo i farmaci devono però essere assunti regolarmente. «Come per tutte le malattie croniche il problema è l’aderenza» , dice Radovanovic. «Purtroppo è molto scarsa, parliamo di circa il 30% che assume il quantitativo di farmaco previsto».
Da questo punto di vista è fondamentale il ruolo del paziente, che deve prendere consapevolezza dell’impegno richiesto nel gestire la malattia.
Il primo passo, tuttavia, spetta ai medici.
«Dobbiamo dedicare del tempo a queste persone e capire qual è la terapia più adatta per ciascuno di loro, in base alle loro caratteristiche e al contesto: ci sono persone che preferiscono una terapia che viene fatta più volte al giorno perché si sentono un po' più tranquille e altre che quanto meno la fanno tanto meglio stanno», commenta Giulia Sartori, dell'Azienda ospedaliero-universitaria integrata di Verona. «È dunque estremamente importante capire la persona che abbiamo di fronte. Pensando per esempio al fatto che molti dei nostri pazienti sono anziani e quindi potrebbero avere difficoltà a gestire la terapia in maniera regolare. Anche perché molti di loro hanno altre patologie concomitanti», aggiunge. «Da questo punto di vista può essere importante il supporto della famiglia. Ed è perciò importante, laddove possibile, chiedere la loro collaborazione».
«Il dialogo è fondamentale», dice Michela Bezzi. «Dobbiamo far capire ai nostri pazienti i vantaggi che si ottengono con la terapia. Per esempio diciamo troppo poco che gli ultimi dati mostrano che se si assume la triplice terapia in un unico inalatore si ha un vantaggio in termini di sopravvivenza. Sapere che si può ottenere un guadagno nell’aspettativa di vita forse farebbe aderire un pochino meglio alla terapia».
Tuttavia, un ruolo importante può essere svolto anche dal medico di famiglia.
«Il medico di famiglia ha un ruolo molto importante proprio nell'aiutare la persona a capire l'importanza delle cure. E poi, una volta che lo specialista ha fatto una prescrizione, nell'aiutare i pazienti a continuare a prenderla quando è necessario», dice Girolamo Pelaia, direttore della Pneumologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria “Renato Dulbecco” di Catanzaro. «Si tratta di una cosa che non possiamo fare noi specialisti che vediamo il paziente a distanza di molto tempo. In realtà, questo è un tema che riguarda un po' tutta la nostra sanità che dovrebbe rafforzare il dialogo e la sinergia tra il mondo dell'ospedale e la medicina di base».
C’è un altro aspetto organizzativo che influenza la gestione della Bpco e che vede nella collaborazione tra medico di medicina generale e specialista un aspetto cruciale. «La maggior parte dei principali farmaci inalatori oggi disponibili, per essere prescritti, necessitano di un piano terapeutico che deve essere redatto dallo specialista in base ai risultati della spirometria», spiega Pelaia. «Se il paziente non viene indirizzato allo specialista per eseguire la spirometria e ricevere una diagnosi non può accedere a quelle terapie che consentono di rallentare la patologia e ridurre le complicanze e la mortalità a essa connesse», conclude.
Non solo farmaci
I farmaci però non sono l’unico strumento per combattere la Bpco. Smettere di fumare, come detto, è sicuramente la prima mossa. Altrettanto importante è però la riabilitazione polmonare e la preservazione della capacità di svolgere attività fisica.
«Una caratteristica fondamentale della malattia è che i pazienti tendono ad adattarsi ai sintomi riducendo l’esercizio fisico. Questo atteggiamento porta progressivamente a una perdita di performance e a una progressiva incapacità a svolgere l'attività fisica, dapprima quella più intensa e poi, nel tempo, anche le più semplici attività quotidiane», spiega Fulvio Braido professore di Malattie dell'apparato respiratorio all'Università di Genova.
È importante evitare che si inneschi questo meccanismo. Per farlo è fondamentale seguire due strade.
La prima è l’esecuzione di esercizi di riabilitazione che preservino la capacità respiratoria. In alcuni casi può essere necessario essere accompagnati da uno specialista, ma il più delle volte si può fare da soli.
«Esistono esercizi semplici che possono essere fatti quotidianamente a casa per pochi minuti, magari più volte al giorno, che consentono di ottenere degli ottimi risultati», dice Braido. «È necessario entrare nell'ottica che fare questi esercizi deve essere parte della nostra terapia quotidiana».
Tuttavia, non solo i polmoni sono importanti: è importante salvaguardare anche gli altri muscoli del corpo. «Occorre mantenere quella che noi chiamiamo tolleranza all'esercizio fisico, cioè la capacità di svolgere le attività che vengono di solito ben tollerate da una persona sana», aggiunge Braido. «Anche questo è un qualcosa che può essere mantenuto con il supporto di un fisioterapista o gestendosi da solo secondo le proprie capacità», conclude lo specialista.