Il batterio dell’ulcera arretra. Da 40 anni le infezioni da Helicobacter pylori in calo
La scoperta risale al 1982, ma ci sono voluti circa dieci anni perché la comunità scientifica si convincesse della sua importanza. Nel 2005 l’intuizione dei due medici australiani, Robin Warren e Barry Marshall, era oramai stata compresa nella sua rilevanza tanto da essere premiata con il Nobel per la medicina con la seguente motivazione: «Per avere scoperto il batterio Helicobacter pylori e il suo ruolo nella gastrite e nell'ulcera peptica».
L’ulcera gastruoduodenale si manifesta con un dolore o bruciore nella parte alta dell’addome, prevalentemente a digiuno, e in molti casi la responsabilità è del batterio H.pylori la cui presenza viene spesso rilevata in seguito alla gastroscopia. Le probabilità infatti per chi soffre di gastrite di risultare positivo al batterio sono piuttosto alte. O almeno lo erano fino a qualche anno fa. Secondo uno studio condotto dall’University of Hong Kong (HKUMed) in collaborazione con il Baylor College of Medicine degli Stati Uniti, infatti, le infezioni di H.pylori nel mondo sono in costante declino da circa quarant’anni. Lo studio, pubblicato su The Lancet Gastroenterology & Hepatology, fornisce una fotografia dettagliata e aggiornata della diffusione globale del batterio dimostrando che il quadro epidemiologico è in continua evoluzione.
In base alle stime precedenti si riteneva che quasi circa il 50 per cento della popolazione mondiale fosse stata infettata da questo batterio, in particolare in Asia e soprattutto in Cina.
Ma i risultati di una revisione sistematica e di una meta-analisi su 224 studi provenienti da 71 paesi indicano che negli ultimi 40 anni la prevalenza globale dell’infezione è in continua discesa. Si è passati dalla prevalenza del 58,2 per cento nel decennio 1980-1990 al 43,1 per cento del periodo 2011-2022. In media, c'è stato un calo di circa lo 0,39-0,83 per cento all'anno. Il declino è particolarmente evidente nell'ultimo decennio (2010-2020), ed è stato registrato in tutte e sei le regioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Africa, Americhe, Europa, Mediterraneo orientale, Sud-est asiatico e Pacifico occidentale). I ricercatori fanno notare che nonostante la riduzione dei casi, il rischio di infezione resta comunque elevato.
Attualmente oltre il 40 per cento della popolazione adulta nel mondo è ancora infetto da H.pylori, una percentuale che pesa sui sistemi sanitari per le conseguenze della malattia, dalla gastrite, all’ ulcera peptica al cancro gastrico.
«Nonostante un considerevole calo della prevalenza complessiva di H. pylori nel mondo negli ultimi quaranta anni, la diffusione di questa infezione in alcune regioni è ancora elevata, in particolare se si considera che si tratta di un agente cancerogeno. I nostri risultati potrebbero rivelarsi utili per la pianificazione della prevenzione del cancro allo stomaco in diverse regioni e ribadire l'importanza del dei controlli periodici dopo l’infezione», commentano i ricercatori.
Ma l’infezione da H.pylori ha anche conseguenze indirette: le terapie a base di antibiotici e di farmaci anti-acido, utili per debellare il batterio e allontanare il rischio di ulcere e di tumore, possono alterare la composizione microbica dell’intestino in maniera non del tutto scontata. I ricercatori hanno infatti scoperto attraverso un altro studio pubblicato su Nature Communications che i cambiamenti indotti dai farmaci riguardano non solo i batteri ma anche la comunità virale (viroma). Gli esami condotti con tecniche di sequenziamento metagenomico hanno mostrato una riduzione della biodiversità del viroma dopo il trattamento per H. pylori. A differenza della comunità di batteri intestinali, che in genere può essere ripristinata dopo sei mesi, la comunità virale impiega più di sei mesi per tornare alla sua varietà originaria. Nel frattempo potrebbero mancare all’appello alcuni virus importanti per la salute generale come i “batteriofagi” che possono contrastare la proliferazione di batteri dannosi.
«Questo secondo studio ha evidenziato il potenziale impatto del trattamento antibiotico sull'alterazione della comunità virale dell'intestino, che potrebbe avere un impatto sulla salute dell'individuo e sulla resistenza agli antibiotici attraverso la modifica dei batteriofagi presenti nell’intestino», spiegano gli scienziati.