Il cancro ci mette poche ore a manomettere il sistema immunitario
Dopo 6-12 ore dalla prima esposizione al tumore, i linfociti T mostrano segni di cedimento diventando disfunzionali. La scoperta va contro le convinzioni attuali: le cellule immunitarie non si logorano dopo un lungo periodo ma cominciano a esaurirsi subito. Lo studio su Nature Immunology
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Gli effetti del tumore sul sistema immunitario sono immediati. Dopo poche ore dal primo incontro con le cellule cancerose (tra le 6 e le 12 al massimo), i linfociti T sono già provati dal tentativo di difendere l’organismo e cominciano a dare segni di cedimento, a “esaurirsi”, comportandosi in maniera disfunzionale.
La scoperta pubblicata su Nature Immunology smentisce le attuali convinzioni sul modo in cui il sistema immunitario reagisce al tumore e può avere importanti implicazioni per le immunoterapie che si basano proprio sul potenziamento dei linfociti T. Finora si credeva, infatti, che i linfociti T perdessero vigore nel contrastare il cancro dopo averlo combattuto per un lungo periodo. In realtà alcuni evidenti segnali di indebolimento si osservano già dopo i primissimi “scontri”.
«Finora si riteneva che le cellule T che vengono esposte a un antigene (come un tumore o un agente patogeno) per lungo tempo continuno a funzionare e che poi a un certo punto si esauriscano. Ecco da dove viene il termine esaurimento. Non credo che nessuno si aspettasse che entro 6-12 ore le cellule T apparissero disfunzionali o esauste. Questa è una finestra temporale molto breve», ha dichiarato Mary Philip, MD, PhD, assistant professor of Medicine in the Division of Hematology and Oncology at Vanderbilt University Medical Center.
La reazione dei linfociti T al tumore, secondo la nuova ricerca, sarebbe opposta a quella che scatta nei confronti di un’infezione. In quest’ultimo caso infatti le cellule a difesa dell’organismo aumentano la loro funzionalità, mentre nel caso del tumore la riducono.
Per scoprire come le cellule T si esauriscono e individuare strategie per prevenire o contrastare il fenomeno, i ricercatori i hanno condotto alcuni esperimenti su un modello murino geneticamente modificato per sviluppare tumori al fegato con l’avanzare dell’età. La malattia negli animali procede in modo analogo alla stessa patologia negli umani.
I ricercatori hanno monitorato le risposte immunitarie al tumore dall’inizio della sua comparsa e nel corso della sua evoluzione introducendo all’interno del sistema immunitario dei topi dei linfociti T tracciabili. Seguendo il comportamento delle cellule immunitarie, gli scienziati hanno notato che il tumore lascia un segno sulle difese già poche ore dopo “essersi presentato” per la prima volta. I cambiamenti indotti dal tumore sembrerebbero inoltre irreversibili. Le cellule T isolate da un topo con tumore dopo cinque giorni o più e trasferite in un topo senza tumore non sono state in grado di riprendere la loro funzione.
«Nei pazienti a cui viene diagnosticato un cancro, non è possibile tornare indietro nel tempo per scoprire come ha risposto il sistema immunitario. Il modello murino ci consente di fare questo, per rispondere a queste domande: cosa succede quando le cellule T vedono per la prima volta i tumori? Quando e come si esauriscono le cellule T?», commenta Philip.
La scoperta raccontata in quest’ultimo studio non giunge del tutto inaspettata. In una serie di studi precedente pubblicati nel 2016 e nel 2017, gli stessi scienziati erano rimasti sorpresi nel scoprire che dopo soli cinque giorni le cellule T attivate dal tumore erano diventate disfunzionali e presentavano migliaia di differenze nei geni che si attivano o disattivano rispetto alle cellule chiamate all’azione da un’infezione acuta.
Ora, nell’ultimo studio, hanno scoperto che i segnali di indebolimento delle difese sono osservabili ancora prima: tutti gli elementi distintivi dell'esaurimento delle cellule T sono presenti già entro 6-12 ore dall’esposizione al tumore.
Gli scienziati non sono riusciti a individuare i potenziali bersagli terapeutici utili a invertire il processo, ma hanno osservato alcune differenze rispetto alle infezioni che potrebbero fornire spunti per lo sviluppo di nuove immunoterapie. Nei linfociti T attivati dal tumore per esempio c’è una ridotta espressione di alcuni geni che sono invece maggiormente espressi nell’infiammazione e mancano alcuni fattori di trascrizione presenti nel caso di un’infezione.
È stato invece possibile identificare i biomarcatori che consentono di prevedere se le cellule T risponderanno o meno a un tumore, il che potrebbe aiutare a personalizzare le immunoterapie e
«Sappiamo che gli inibitori del checkpoint e altri interventi di immunoterapia non funzionano in molti pazienti ed è importante essere in grado di prevedere la risposta ed evitare terapie che non gioveranno ai pazienti», ha affermato Philip.
I ricercatori hanno infine ripetuto gli esperimenti su un un modello murino di melanoma metastatico osservando lo stesso fenomeno associato al tumore del fegato: le cellule T sono diventate disfunzionali in poche ore. Il che dimostra che il processo non dipende dal tipo di tumore.