Cosa c'è dietro la sindrome da stanchezza cronica

Lo studio

Cosa c'è dietro la sindrome da stanchezza cronica

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Immagine: Jem Yoshioka from Wellington, New Zealand, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons
di redazione
Ricercatori dei National Institutes of Health hanno scoperto i segnali biologici che contraddistinguono la sindrome da stanchezza cronica successiva a un’infezione virale o batterica come la mononucleosi o Covid-19. Alcune anomalie del cervello e del sistema immunitario spiegano i sintomi

Segnali precisi, osservabili e quantificabili indicativi di una anomalia clinica. Indispensabili per una diagnosi, utili per comprendere le manifestazioni e l’evoluzione di una malattia, fondamentali per proporre il trattamento più efficace. In una parola: biomarcatori. Mancavano per la sindrome da stanchezza cronica (chiamata anche sindrome da encefalomielite mialgica/stanchezza cronica) e ora potrebbero essere stati trovati. 

Così suggerisce uno studio firmato dai ricercatori del National Institutes of Health pubblicato su Nature Communications che hanno cercato scrupolosamente di rintracciare gli elementi distintivi della sindrome da stanchezza cronica successiva a un’infezione virale o batterica in 17 pazienti con una sintomatologia riconducibile alla sindrome secondo il giudizio indipendente di diversi esperti. Sono emersi alcuni dettagli di un meccanismo patofisiologico preciso che spiegherebbe, in sostanza, come mai le persone affetta dalla sindrome hanno difficoltà a decidere di compiere uno sforzo e a sostenerlo una volta che è stato intrapreso. 

I partecipanti sono stati sottoposti ada analisi di tutti i tipi: risonanza magnetica, esami del sangue, valutazione delle performance fisiche e cognitive, analisi del liquido cerebro-spinale, monitoraggio del metabolismo, indagini sul microbioma, biopsie muscolari. 

I risultati della risonanza magnetica funzionale del cervello dei pazienti indicano una ridotta attività in una regione del cervello chiamata giunzione temporo-parietale che può causare affaticamento compromettendo la capacità del cervello di affrontare gli sforzi. I ricercatori hanno osservato che la corteccia motoria dei pazienti, una regione del cervello incaricata di dire al corpo di muoversi,  rimane attiva in modo anomalo durante compiti faticosi. Il che suggerisce che l’affaticamento sia proprio causato da una disfunzione delle regioni cerebrali che guidano la corteccia motoria, come la giunzione tempero-parietale. Sorprendentemente durante lo sforzo, i muscoli dei pazienti non risultano affaticati durante l’attività motoria. Esiste quindi una discrepanza tra ciò che percepisce il corpo e ciò che percepisce la mente. 

«Potremmo aver identificato un punto chiave fisiologico per spiegare l'affaticamento in questa popolazione. Piuttosto che dall’esaurimento fisico o dalla mancanza di motivazione, la fatica può derivare da una discrepanza tra ciò che si pensa di poter ottenere e ciò che il suo corpo esegue», ha affermato Brian Walitt, medico ricercatore associato presso il NINDS e primo autore dello studio. 

Dall’analisi del liquido cerebrospinale sono anche emersi livelli bassi, al di sotto della norma, delle catelocamine, ormoni secreti dal surrene (adrenalina, noradrenalina, dopamina e dobutamina), e di altre molecole che regolano il sistema nervoso. 

Una carenza di queste sostanze è associata a una serie di sintomi tipici della sindrome da stanchezza cronica: performance motorie scadenti, difficoltà nel sostenere attività faticose, disturbi cognitivi. 
È la prima volta che specifiche anomalie o squilibri nel cervello sono associati alla sindrome da fatica cronica. 

«Le persone con sindrome da fatica cronica hanno sintomi molto reali e invalidanti, ma scoprire la loro base biologica è stato estremamente difficile. Questo studio approfondito su un piccolo gruppo di persone ha rilevato una serie di fattori che probabilmente contribuiscono alla sindrome. Ora i ricercatori possono verificare se questi risultati si applicano a un gruppo di pazienti più ampio e possono procedere verso l’identificazione di trattamenti mirati ai fattori chiave della malattia», ha detto Walter Koroshetz, direttore del National Institute of Neurological Disorders and Stroke (NINDS) del NIH.

La sindrome da stanchezza cronica sembra essere caratterizzata anche da specifiche anomalie immunitarie. In confronto a un gruppo di persone sane, i pazienti affetti da stanchezza cronica avevano livelli più alti di cellule B naive e livelli più bassi di cellule B di memoria commutata, cellule che aiutano il sistema immunitario a combattere gli agenti patogeni.  Le cellule B naive sono sempre presenti e si attivano quando incontrano un determinato antigene, una sostanza estranea che “risveglia” il sistema immunitario. Le cellule B della memoria rispondono a un antigene specifico e aiutano a mantenere l'immunità  acquisita. Ancora non è chiaro come i marcatori immunitari si colleghino alle altre anomalie riscontrate nel cervello. 

«Pensiamo che l'attivazione immunitaria possa influenzare il cervello in vari modi, causando cambiamenti biochimici ed effetti a valle come disfunzioni motorie e cardiorespiratorie», ha affermato Avindra Nath, M.D., direttore clinico del NINDS e autore senior dello studio.

Analisi più approfondite hanno evidenziato significative differenze tra uomini e donne nei segnali distintivi della sindrome da stanchezza cronica. Nei maschi, per esempio, si osservava un’attivazione alterata delle cellule T, così come dei marcatori dell’immunità innata, mentre nelle femmine sono emersi modelli di crescita anormali delle cellule B e dei globuli bianchi. Uomini e donne avevano anche marcatori distinti di infiammazione.