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Covid-19, maledetta primavera. Il polline potrebbe aumentare il rischio di contagio
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    Immagine: Petter Ulleland, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons
Redazione
Più polline, più contagi. Il legame è stato dimostrato con i dati di 130 stazioni di monitoraggio dell’aria nei cinque continenti. E c’è anche una spiegazione: i granuli di polline inalati riducono le risposte immunitarie delle vie aeree esponendo l’organismo a un maggior rischio di infezioni

Marzo 2020. La pandemia accelerava tanto da costringere mezzo mondo al lockdown. Nell’emisfero settentrionale era primavera: gli alberi fiorivano e il polline si diffondeva nell’aria. C’è una correlazione tra i due fenomeni? Che il picco di contagi sia avvenuto durante la stagione dei pollini è solo una coincidenza? Se lo sono chiesti i ricercatori della Università Tecnica di Monaco che hanno messo in piedi una task force di 154 scienziati per chiarire la questione. I risultati della loro indagine sono pubblicati su Pnas.

Ebbene, mettendo a confronto i dati sulla concentrazione del polline, le condizioni atmosferiche e i tassi di infezione giornalieri da Sars-Cov-2, è emerso che effettivamente la presenza del polline nell’aria influenza notevolmente il tasso di infezioni, aumentando il rischio di contagio. Viene da dire: maledetta primavera. Secondo le stime dei ricercatori il 44 per cento della variazione nell’andamento dei contagi può essere attribuita al polline. Anche i livelli di umidità e la temperatura incidono sulla diffusione del virus. 

I dati provengono da 130 stazioni di monitoraggio aerobiologico di 31 Paesi in cinque continenti. Nelle giornate senza lockdown il tasso di infezioni aumentava in media del 4 per cento per ogni aumento di 100 granuli di polline per metro cubo. In alcune città della Germania la scorsa primavera si sono registrate concentrazioni di polline pari a 500 granuli per metro cubo al giorno associate a un aumento dei tassi di infezione di più del 20 per cento. 

Questi numeri suggeriscono quindi che in effetti la presenza del polline nell’aria aumenta il rischio di contagio da Covid-19. Come si spiega il nesso? Secondo gli scienziati, con il nuovo virus pandemico succede quel che che accade con tutte le altre infezioni respiratorie. Elevate concentrazioni di polline indeboliscono le risposte immunitarie delle vie aeree esponendo l’organismo a un maggior rischio di contrarre quei virus che provocano raffreddore e tosse.

In generale, quando un virus, e Sars-Cov-2 non fa eccezione,  entra nel corpo, le cellule infette attivano alcune proteine messaggere, note come interferoni antivirali, che avvertono le cellule vicine di intensificare le loro difese antivirali. In primavera, però, le cose possono andare diversamente.

Se le concentrazioni di polline nell'aria sono elevate e i granuli di polline vengono inalati insieme alle particelle virali si riduce l’attivazione degli interferoni antivirali e, in sostanza, il “grido” di allarme è talmente debole da non venire percepito dalle difese immunitarie. Lo scudo protettivo non scatta. Per questo nei giorni con un'alta concentrazione di polline si può registrare un aumento dei casi di malattie respiratorie. Tutto ciò vale anche per Covid-19, indipendentemente dal fatto che si soffra o meno di allergie al polline. Come ci si può proteggere? 

«Non è possibile evitare l'esposizione al polline disperso nell’aria. Le persone in gruppi ad alto rischio dovrebbero, quindi, essere informate sul fatto che alti livelli di concentrazioni di polline portano ad una maggiore suscettibilità alle infezioni virali del tratto respiratorio», ha dichiarato ", Stefanie Gilles, prima autrice dello studio. 

Le persone a rischio dovrebbero quindi monitorare le previsioni delle concentrazioni di polline e proteggersi indossando mascherine particolarmente filtranti capaci di tenere lontano dalla vie aeree tanto i granuli di polline quanto i virus. 

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