Ecco come funzionano i bio-sensori che catturano i marcatori delle malattie
Come fa una molecola immersa in un fluido biologico a raggiungere e interagire in pochi minuti con l’interfaccia sensibile di un dispositivo mille miliardi di volte più grande? È risolvendo questo quesito che si è aperta la strada allo sviluppo di bio-sensori elettronici sempre più efficaci. Lo sanno bene i ricercatori dell’Istituto di cristallografia e (Cnr-Ic) dell'Istituto di fotonica e nanotecnologie (Cnr-Ifn) del Consiglio nazionale delle ricerche, che in collaborazione con i Dipartimento di Chimica, di Farmacia-Scienze del Farmaco e Interuniversitario di Fisica dell’Università degli studi di Bari, hanno pubblicato su su Advanced Science, i risultati delle loro ricerche che hanno applicazioni, tra l’altro, nella ricerca dei biomarcatori per molte patologie, Covid incluso.
Nelle fasi asintomatiche che precedono l’insorgenza di patologie gravi, quali i tumori, le malattie neurodegenerative o il Covi-19, nei fluidi biologici del corpo umano sono presenti solo pochissimi bio-marcatori o patogeni.
«La loro rivelazione tempestiva consentirebbe una diagnostica precoce e permetterebbe di trasformare radicalmente l’approccio medico da curativo a preventivo» spiega Luisa Torsi, professoressa ordinaria di chimica analitica dell’Università di Bari e neo vice-presidente del Consiglio scientifico del Cnr, che ha coordinato la ricerca.
Rivelare poche molecole ultra-diluite in un fluido utilizzando i dispositivi nanometrici esistenti è possibile, ma richiede settimane o mesi, poiché la probabilità di incontro ed interazione fra un bio-marcatore ed un nano-sensore, entrambi di dimensioni dell’ordine del nanometro (1 miliardesimo di metro), è infinitamente bassa nel volume di un campione di sangue o saliva da analizzare (un decimo di millilitro). Sorprendentemente, diversi recenti esperimenti hanno dimostrato che, se invece di un nano-dispositivo, si utilizzano sensori aventi interfacce di millimetri, tappezzate con un grandissimo numero (mille miliardi) di anticorpi di cattura, è possibile rivelare la presenza di una singola molecola finanche in decimi di millilitro, nel giro di pochi minuti.
«È come liberare un singolo pesciolino nel lago di Garda e poi riuscire a ritrovarlo. Sviluppando un modello basato sulla teoria di Einstein sulla diffusione di particelle soggette al moto browniano e usandolo per spiegare nuovi esperimenti abbiamo trovato una spiegazione convincente all’enigma della cosiddetta barriera di diffusione», spiega Gaetano Scamarcio professore ordinario di Fisica dell’Università di Bari e associato al Cnr-Ifn, che ha ideato la ricerca. Secondo il modello, un singolo antigene di immunoglobulina (IgG) in acqua è soggetto ad un incessante moto disordinato a causa dei frequentissimi urti con le molecole.
«L’analisi statistica mostra che in soli 10 minuti, grazie al moto browniano, la molecola può esplorare un volume pari a qualche decimo di millimetro cubo mentre ruota velocemente esponendo diversi siti di legame. E che questo è sufficiente per garantire l’interazione efficace con uno dei moltissimi anticorpi presenti sull’interfaccia attiva del sensore», chiarisce Liberato De Caro di Cnr-Ic. Il risultato ottenuto ha enorme rilevanza per lo sviluppo di bio-sensori elettronici efficaci per la rivelazione precoce di patologie e per la medicina di precisione.