L’estinzione delle lingue indigene ci sta facendo perdere le conoscenze delle piante medicinali
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La pianta medicinale usata per generazioni dalle popolazioni locali è ancora lì, la natura l’ha preservata intatta e magari cresce più rigogliosa che mai. Ma non c’è più nessuno che sappia come si chiama, quali proprietà terapeutiche abbia, se per ricavarne i maggiori benefici debba essere cotta, essiccata, macerata, se vada ingerita o applicata localmente. La pianta esiste viva e vegeta ma nessuno sa più cosa farne. Succede quando ad estinguersi non è una specie vegetale, ma la lingua parlata dalla comunità che ne deteneva i segreti. Scompare un idioma, scompare una cultura, scompaiono informazioni preziose su tante piante che il più delle volte non hanno alcun valore terapeutico reale, ma che a volte potrebbero nascondere qualche beneficio tutt'altro che trascurabile. Lo abbiamov isto per esempio con l'acido acetilsalicilico (aspirina), derivante dal salice bianco (Salix alba L.),o con la morfina, che viene estratta dai papaveri (Papaver somniferum).
Se non si hanno più le parole per dirlo, tutto viene perduto per sempre. E non c’è speranza di trovare una Stele di Rosetta che miracolosamente permetta la traduzione in una lingua nota perché mancano quasi sempre i testi scritti e le conoscenze vengono tramandate oralmente all’interno dei villaggi.
Secondo il progetto Ethnologue la scomparsa di una lingua è un fenomeno molto più frequente di quanto si possa pensare: il 42 per cento delle oltre 7mila lingue attualmente parlate nel mondo è a rischio di estinzione. Per fare un esempio: prima dell’arrivo dei portoghesi in Brasile nel XVI secolo si parlavano mille lingue diverse, oggi ne sono rimaste 160. Perché accade? Perché i genitori smettono di parlare con i figli la loro lingua nativa e ne adottano un’altra.
Uno studio appena pubblicata sulla rivista Pnas mette in guardia dai rischi dell’estinzione delle lingue indigene: c’è in ballo la possibilità di scoprire farmaci che potrebbero contribuire al progresso della medicina.
Gli scienziati hanno selezionato più di 3.500 specie vegetali con più di 12mila applicazioni terapeutiche e hanno ricostruito il modo in cui queste vengono sfruttate dalle popolazioni indigene dell’Amazzonia, della Nuova Guinea e del Nord America, che usano in tutto 236 lingue diverse. Ebbene, il 75 per cento delle proprietà terapeutiche delle piante è conosciuto solo ed esclusivamente in una lingua che, oltretutto, è a elevato rischio di estinzione. Siamo di fronte a un doppio problema: non solo l’informazione è monopolio di un’unica comunità, ma la lingua parlata da quella comunità è destinata a sparire in tempi brevi.
Un esempio per tutti. In Amazzonia i ricercatori hanno contato 645 specie di piante conosciute in 37 lingue diverse: il 91 per cento delle conoscenze esiste in una sola lingua (succede cioè che ogni comunità ha una conoscenza esclusiva di specifiche piante). Il che significa che le informazioni sull’uso medicinale di una pianta finiranno nel dimenticatoio con la scomparsa di quella lingua. Ed è un fenomeno paradossale perché la maggior parte delle piante di cui si perderanno le tracce non è minacciata di estinzione e almeno per ora non compare in nessuna delle liste della International Union for the Conservation of Nature (IUCN). Solo l’1 per cento delle specie di piante in uso nelle tribù dell’Amazzonia rischia di sparire nel vero senso del termine. La biodiversità, in questo caso, è salva. La perdita però è ugualmente grave. «Ogni volta che scompare una lingua, scompare anche una voce parlante, scompare un modo di dare un senso alla realtà, scompare un modo di interagire con la natura, scompare un modo di descrivere e nominare animali e piante», afferma Jordi Bascompte, ricercatore del Dipartimento di Biologia Evoluzionistica e Studi Ambientali presso l'Università di Zurigo che ha guidato lo studio.