Leucemia mieloide acuta: identificate staminali tumorali che compromettono terapia
Sono presenti già al momento della diagnosi, identificarle precocemente potrebbe migliorare la scelta della terapia
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Ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, SR-Tiget e Università Vita-Salute San Raffaele ha identificato una rara popolazione di cellule staminali leucemiche, già presenti al momento della diagnosi, che condizionano la mancata risposta alla terapia. Successivamente hanno sviluppato una firma molecolare, composta da un pannello di geni utile per caratterizzare queste rare cellule staminali leucemiche già al momento della diagnosi, al fine di individuarle tempestivamente per offrire terapie alternative e migliore personalizzazione del trattamento.
La ricerca, svolta grazie al sostegno di Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro, è stata pubblicata sulla rivista Nature Communications.
La attuali cure per la leucemia mieloide acuta possono portare la malattia a remissione, ma una percentuale considerevole di pazienti adulti ha una ricaduta dopo il trattamento standard. Dati recenti suggerivano che la ricaduta spesso avesse origine da cellule già presenti alla diagnosi, difficili da distinguere dalla massa leucemica. Inoltre il meccanismo utilizzato da tali cellule per dare ricaduta non era noto.
«Siamo partiti dai campioni clinici seriali, cioè analizzati alla diagnosi, lungo il percorso di terapia e alla ricaduta, di 13 pazienti con leucemia mieloide acuta conservati nella Biobanca dell'Ospedale San Raffaele e li abbiamo analizzati con una tecnologia innovativa, chiamata sequenziamento dell'RNA a livello di singole cellule che ha permesso di ottenere i livelli di espressione di migliaia di geni per ogni singola cellula (il loro trascrittoma)”, spiega il primo autore, Matteo Naldini, ricercatore del SR-Tiget.
Lo sviluppo di nuovi approcci bioinformatici ha consentito di identificare in modo specifico i trascrittomi associati alle cellule leucemiche, distinguendole dalle cellule ematiche normali, che coesistono con la malattia residua dopo la chemioterapia e non possono essere distinte in modo affidabile dalla tecnologia standard.
«Per la prima volta abbiamo descritto in modo molto approfondito gli effetti della chemioterapia sulle cellule leucemiche che erano altamente eterogenee: alcune morivano, altre proliferavano e altre ancora ricadevano in un profondo stato di quiescenza», aggiunge Bernhard Gentner, fino a poco tempo fa responsabile del Laboratorio di cellule staminali e leucemia dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica e ora docente presso l’Università di Losanna.
Applicando tecniche di ingegneria genetica a topi di laboratorio, il passo successivo è stato identificare, in una percentuale rilevante dei campioni dei pazienti, una rara popolazione di cellule staminali leucemiche, già presenti al momento della diagnosi, che condizionano la mancata risposta alla terapia.
«Identificare questa rara popolazione di cellule è stato come trovare un ago in un pagliaio e non sarebbe stato possibile con le tecniche standard che rilevano solo la 'risposta media' dell'intera popolazione leucemica», conclude Gentner.
In futuro, la ricerca di queste cellule al momento della diagnosi potrebbe essere introdotta nella pratica clinica e consentire di identificare i pazienti che potrebbero non beneficiare della chemioterapia classica e offrire loro immediatamente un approccio alternativo basato su farmaci epigenetici e mirati.