Mesotelioma: con l’immunoterapia il 25% dei pazienti è vivo a tre anni

Cingresso Aiom 2023

Mesotelioma: con l’immunoterapia il 25% dei pazienti è vivo a tre anni

di redazione

L’immunoterapia con pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia con platino e pemetrexed, in prima linea, può migliorare la sopravvivenza globale, riducendo il rischio di morte del 21% nei pazienti con mesotelioma pleurico non operabile o metastatico, una neoplasia molto difficile da trattare. A tre anni il 25% dei pazienti trattati con la combinazione era vivo rispetto al 17% con la sola chemioterapia.

Sono i principali risultati dello studio clinico indipendente IND.227, condotto da tre gruppi cooperativi e coordinato dall’Istituto nazionale tumori Pascale di Napoli, dal Canadian Cancer Trials Group (CCTG) e dall’Intergruppo cooperativo toracico francese (IFCT). Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet, è stato presentato al Congresso nazionale dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom, a Roma 10-12 novembre).

«Lo standard di cura del mesotelioma pleurico per venti anni è stato rappresentato dalla chemioterapia, con risultati insoddisfacenti» ricorda Francesco Perrone, presidente Aiom. Questo studio di fase 3 ha coinvolto 440 pazienti di 51 Centri in Italia, Canada e Francia «e dimostra l’alto valore della ricerca indipendente. Va inoltre evidenziato – aggiunge Perrone - che quasi la metà dei pazienti, 212, erano italiani, a dimostrazione del ruolo centrale svolto dal nostro Paese. Il disegno dello studio è frutto del lavoro di ricercatori italiani e canadesi. Collaborazioni accademiche internazionali come questa rappresentano uno strumento importante per esplorare nuove strategie contro il cancro – sottolinea il presidente Aiom - e per definire nuove cure in grado di migliorare la prognosi dei pazienti, soprattutto nel caso di malattie poco frequenti come il mesotelioma pleurico. I risultati di questa ricerca, infatti, sono destinati ad avere un impatto tangibile e significativo sulla vita dei pazienti».

Allo studio hanno partecipato diciassette Centri italiani.

«Il miglioramento della sopravvivenza a tre anni dell’8% - dice Marilina Piccirillo, dirigente medico della Struttura Sperimentazioni cliniche del Pascale e coordinatrice scientifica dello studio in Italia – è un risultato significativo in una patologia come il mesotelioma, che ha una prognosi ancora infausta. Lo stesso vale per la sopravvivenza libera da progressione e per la risposta. Quest’ultima, che equivale alla riduzione delle dimensioni del tumore, si è ottenuta nel 62% nei pazienti trattati con pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia rispetto al 38% di quelli trattati con la sola chemioterapia, quindi quasi un raddoppio del tasso di risposta».

Ogni anno, in Italia, sono stimati circa 2 mila nuovi casi di mesotelioma. Il principale fattore di rischio è costituito dall’esposizione all’amianto, riconosciuta nel 90% delle diagnosi. Per la sua natura di malattia professionale, è attivo un sistema nazionale di sorveglianza con segnalazione obbligatoria. L’impiego del minerale nel nostro Paese è terminato nel 1992, con la legge che ne ha decretato un generale divieto di estrazione, importazione, esportazione, commercializzazione e produzione. Restano però importanti quantità di amianto nei territori, soprattutto in diverse tipologie di strutture.

«Il mesotelioma – rileva Federica Grosso, responsabile della Struttura dipartimentale Mesotelioma e tumori rari dell’Azienda ospedaliera Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo di Alessandria - può insorgere a distanza di decenni dopo l’esposizione all’amianto. Pertanto, oggi, continua a essere diagnosticato, proprio per l’uso intenso del minerale dal secondo dopoguerra fino all’inizio degli anni Novanta».

I primi sintomi, di solito presenti da alcuni mesi dal momento della diagnosi, sono dolore toracico, difficoltà respiratoria e tosse. Il segno più frequente è la formazione di liquido pleurico nelle localizzazioni toraciche.

«La tragica vicenda dell’esposizione professionale ed ambientale ad amianto in Italia, con la lunga scia di morti per tumore, ci ha permesso di sviluppare più esperienza e sensibilità su questo tema rispetto ad altri Paesi» interviene infine Saverio Cinieri, presidente della Fondazione Aiom. «I tempi di latenza della malattia – spiega - sono molto lunghi. Possono andare da venti a oltre quaranta anni dall’inizio dell’esposizione. L’età media alla diagnosi infatti è di circa 70 anni e le ricadute sociali e giudiziarie non possono essere trascurate»