Le nanoparticelle autopropellenti che possono fare la differenza per il trattamento del tumore della vescica
Definirle nanoparticelle è riduttivo. Le minuscole sfere di silicio che potrebbero rivoluzionare il trattamento del tumore alla vescica somigliano a dei nanorobot. Perché “sanno” cosa fare e dove andare e procedono in maniera autonoma. La nuova tecnologia, descritta su Nature Nanotechnology, è stata testata sui topi con risultati estremamente promettenti: le dimensioni del tumore si sono ridotte del 90 per cento. Esattamente come altri tipi di trattamento attualmente in uso, anche la terapia a base di nanorobot si applica direttamente all’organo ma a differenza dei farmaci attuali che richiedono numerose sedute, dalle 6 alle 15, le nanoparticelle raggiungono i risultati desiderati in una sola somministrazione.
I ricercatori dell’Institute for Bioengineering of Catalonia (IBEC) hanno realizzato piccole sfere di silicio dotate di due proprietà essenziali per riuscire a contrastare il tumore: l’abilità di raggiungere autonomamente tutte le parti della vescica e la capacità di rilasciare il farmaco all’interno del tumore.
I nanorobot riescono a spostarsi da soli grazie a una reazione chimica tra l’enzima ureasi, la proteina presente sulla loro superficie, e l’urea contenuta nell’urina. La combinazione delle due sostanze fornisce una spinta propulsiva che permette di lanciare le particelle in giro per la vescica come se fossero palline da flipper.
Grazie a questa proprietà, il paziente che riceve il trattamento non deve cambiare posizione ogni mezz’ora durante la somministrazione per consentire al farmaco di distribuirsi all’interno dell’organo come invece accade con le terapie attuali.
Una volta inserite nella vescica, le piccole sfere di silicio dotate di auto-propulsione se ne vanno in giro e non hanno bisogno di essere aiutate per spostarsi. Ma cosa succede quando incontrano il tumore?
Non si poteva dare per scontato che le nanoparticelle penetrassero il tumore visto che non posseggono anticorpi per riconoscere i tessuti tumorali che tra l’altro sono più spessi di quelli sani e quindi più difficili da oltrepassare.
I ricercatori hanno però osservato, grazie alla tomografia a emissione di positroni (Pet) e a immagini ad elevata risoluzione dei tessuti rimossi dai topi, che effettivamente le nanoparticelle si accumulavano nel tumore.
«Abbiamo osservato che i nanorobot non solo raggiungevano il tumore ma vi entravano anche, potenziando così l’azione del radiofarmaco», spiegano i ricercatori.
In qualche modo, quindi, le nanoparticelle fanno breccia nel tumore. I nanorobot “sparati” contro le cellule tumorali possono infatti scomporre la matrice extracellulare del tumore aumentando localmente il pH attraverso una reazione chimica autopropulsiva.
Gli scienziati hanno così concluso che i nanorobot rimbalzano come palline da flipper contro le pareti sane della vescica ma penetrano nei tessuti tumorali che sono più spugnosi finendo per accumularsi al loro interno. Il fattore chiave di tutto il processo è indubbiamente la mobilità dei nanorobot che aumenta la probabilità di raggiungere le cellule tumorali.
La nuova terapia è potenzialmente sicura ed efficace.
«La somministrazione localizzata di nanorobot che trasportano il radioisotopo riduce la probabilità di generare effetti avversi, e l'elevato accumulo nel tessuto tumorale favorisce l'azione radioterapeutica», conclude Jordi Llop, ricercatore co-direttore dello studio.