Nei batteri intestinali il segreto per smascherare il cancro
Un gruppo di ricercatori dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano ha individuato nel nostro microbiota intestinale fattori in grado di predire, con un semplice test su cellule del sangue, quali pazienti con melanoma avanzato risponderanno all’immunoterapia e quali no, aprendo una nuova strada per lo sviluppo di un vaccino terapeutico. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cell Host and Microbe.
Lo studio ha arruolato all’Ieo e al Pascale di Napoli 23 pazienti con melanoma inoperabile, candidati a ricevere la terapia che, bloccando la proteina linfocitaria PD-1, riattiva la risposta immunitaria antitumorale. Da ciascun partecipante sono stati raccolti dati clinici e diversi campioni biologici, sia prima dell’inizio della terapia sia mensilmente durante il periodo del trattamento (fino a 13 mesi), consentendo così di associare variazioni del microbiota intestinale con altri marcatori infiammatori ematici.
«I nuovi risultati dimostrano che i pazienti con una risposta clinica completa hanno una composizione del microbiota intestinale unica – spiega Angeli D.G. Macandog, ricercatrice Ieo e prima autrice del lavoro - che varia poco durante l’immunoterapia e stabilizza alcuni batteri». Questi batteri, ricorda la ricercatrice, sono noti per essere tra i principali artefici del metabolismo delle fibre alimentari, che favoriscono sia la salute intestinale sia le funzioni linfocitarie.
Questa osservazione apre nuovi scenari nella comprensione di come il microbiota intestinale modula la risposta al trattamento. Infatti, da un’analisi approfondita dei geni batterici emerge che il microbiota intestinale dei pazienti che rispondono all’immunoterapia è arricchito di alcuni geni che portano alla sintesi di peptidi, i quali mimano esattamente la struttura di alcuni dei principali antigeni tumorali espressi dalle cellule di melanoma. Poiché la somiglianza consente a linfociti diretti contro i peptidi batterici di riconoscere anche i loro analoghi tumorali, l’immunità antitumorale ne esce rafforzata.
La scoperta consentirà di condurre uno screening dei pazienti candidati a immunoterapia grazie a un test per ricercare linfociti che riconoscono i peptidi batterici analoghi a quelli del melanoma. «La possibilità di avere a disposizione marcatori che predicono la risposta a un trattamento o meno – dice Paolo Ascierto, direttore del Dipartimento Melanoma e immunoterapia del Pascale - rappresenta un aspetto importantissimo della ricerca oncologica. In questo modo si selezionano i pazienti che possono realmente avere un beneficio da una terapia evitando inutili costi e possibili effetti collaterali a coloro che non ne avranno beneficio. Inoltre - aggiunge Ascierto - consente di focalizzare la ricerca su quei pazienti resistenti ab initio a un trattamento».
I risultati della ricerca «hanno un forte potenziale terapeutico – sostiene infine Luigi Nezi, che ha coordinato il gruppo dell'Ieo - se si considera che l’azione favorevole del microbiota potrebbe essere indotta somministrando al paziente semplici mix di peptidi. Gli stessi che, in un futuro non lontano, potrebbero essere utilizzati sia per migliorare l’attuale limitata applicabilità delle terapie cellulari, sia come vaccino, che educhi il sistema immunitario a riconoscere il tumore e, in combinazione con l’immunoterapia, a combatterlo».