Non solo il danno. Così un trauma fa addormentare il cervello
Quando il cervello va incontro a un danno strutturale, per esempio a causa di un ictus ischemico o emorragico o per un trauma, il deficit funzionale che ne consegue non è dovuto solo al danno, ma anche al fatto che le zone di corteccia cerebrali adiacenti alla lesione o connesse ad essa cadono in uno stato simile al sonno.
È quanto emerge da uno studio condotto da ricercatori dell’Università Statale di Milano nell’ambito del progetto di ricerca Nemesis - (Neurological Mechanisms of Injury and Sleep-like cellular dynamics).
«Le conseguenze delle lesioni cerebrali focali (ischemiche, emorragiche e traumatiche) vanno ben oltre il danno causato direttamente dalla perdita dei neuroni», spiega il coordinatore dello studio Marcello Massimini, docente di Fisiologia alla Statale.
«Già nel 1914, Constantin Von Monakow aveva intuito come i sintomi neurologici potessero dipendere in larga misura da un effetto a distanza del danno locale sull’attività di aree cerebrali lontane. Questo è un dato rilevante perché mentre è difficile riparare il danno strutturale, le alterazioni funzionali delle reti cerebrali possono in principio essere corrette», aggiunge Massimini.
All’epoca si trattava di una semplice ipotesi, che ora però sembra avere conferma dalle moderne tecniche di neuroimaging impiegate dai ricercatori.
Nello studio il team è partito da una nozione antica e un po’ dimenticata dello studio dei danni al cervello: quella della presenza di onde elettroencefalografiche lente, simili a quelle del sonno, nell’aria della lesione.
Lo studio ha quindi confermato che «queste onde riflettono l'intrusione di dinamiche corticali simili a quelle del sonno durante la veglia». I ricercatori hanno descritto inoltro il modo in cui queste onde vengono generate e come possono portare a una disgregazione delle reti di connessioni cerebrali.
Secondo il team la scoperta potrebbe avere ricadute terapeutiche. «La prospettiva entusiasmante è che ridurre le onde lente per risvegliare i circuiti che si sono addormentati potrebbe rappresentare una strategia praticabile ed efficace», scrivono. «La posta in gioco è alta perché ripristinare i modelli di veglia in porzioni della corteccia che sono funzionalmente offline a causa della bistabilità potrebbe migliorare simultaneamente le prestazioni comportamentali e ottimizzare il potenziale per una riabilitazione mirata per indurre un rimodellamento specifico del circuito», concludono.