Una nuova strategia per la “correzione” della sindrome Icf
Con l'applicazione di una tecnologia di gene editing è possibile riparare i difetti genetici che causano la sindrome da immunodeficienza, instabilità centromerica e anomalie facciali (Icf), una rara patologia genetica.
Ricercatori dell’Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati Traverso” (Cnr-Igb) e dell’Istituto per le applicazioni del calcolo “Mauro Picone” (Cnr-Iac) del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli, in collaborazione con colleghi del Centro di ricerca Technion di Haifa, in Israele, hanno applicato una strategia innovativa per “correggere” i difetti che comportano profonde alterazioni epigenetiche, in particolare della metilazione del Dna, ovvero di quel meccanismo che garantisce che i geni possano esprimersi in modo appropriato a seconda del tipo cellulare e delle fasi biologiche dell’individuo.
La sindrome Icf si manifesta nella prima infanzia con una grave immunodeficienza che comporta una grande suscettibilità alle infezioni respiratorie e del tratto gastrointestinale. Inoltre, i pazienti presentano alterazioni dello sviluppo, psicomotorie e difetti cognitivi.
«Il nostro studio – racconta Maria R. Matarazzo del Cnr-Igb - si è concentrato sui pazienti del primo sottotipo, tutti accomunati da mutazioni nel gene DNMT3B che interferiscono con l'attività enzimatica della proteina, che metila il Dna, determinando i difetti alla base della malattia. Tali anomalie colpiscono, ad esempio, alcune regioni cromosomiche importanti per la corretta divisione cellulare e i loro effetti sono particolarmente evidenti nelle cellule del sistema immunitario».
I ricercatori, applicando la tecnologia CRISPR/Cas9 (che si basa sull’impiego della proteina Cas9 come “forbice molecolare” per modificare in maniera specifica una sequenza di Dna bersaglio) nelle cellule staminali pluripotenti indotte derivate dai fibroblasti dei pazienti affetti dalla sindrome, i ricercatori hanno dimostrato che è possibile “correggere” le mutazioni nel gene DNMT3B e ripristinare l’attività enzimatica della proteina. In sostanza, il gene mutato è stato sostituito con quello in grado di codificare la proteina corretta.
La ricerca «ha consentito di identificare le regioni genomiche target della proteina DNMT3B – spiega Matarazzo - e di acquisire nuove informazioni sulla sua perdita di funzione nelle fasi più precoci della patologia. In oltre il 75% di queste regioni abbiamo osservato il recupero del corretto livello di metilazione del Dna in seguito al gene editing. In particolare, è “corretta” la metilazione di regioni cromosomiche responsabili delle alterazioni della divisione cellulare e di diversi geni con funzioni importanti nella risposta immunitaria. Alcune regioni genomiche sono resistenti alla “correzione” e questo dipende dal coinvolgimento di altri meccanismi epigenetici».
Lo studio, pubblicato lo scorso marzo sulla rivista Genome Research, è un passo avanti per identificare con maggiore precisione i target molecolari alla base di questa malattia rara e definire approcci terapeutici più mirati ed efficaci. Ma «in una prospettiva più ampia – conclude Matarazzo - i risultati ottenuti prefigurano lo sviluppo di strategie sperimentali che potrebbero consentire di affrontare questa e altre immunodeficienze associate a difetti nella metilazione del Dna».