Sclerosi laterale amiotrofica: scoperti accumuli proteici nel sistema nervoso periferico dei pazienti. Nuove prospettive di diagnosi e cura
Uno studio dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano apre nuove prospettive di diagnosi e di cura per la sclerosi laterale amiotrofica.
Grazie a un’innovativa biopsia del nervo motorio, i ricercatori hanno osservato la presenza di accumuli proteici, già identificati a livello cerebrale, anche nel sistema nervoso periferico. In particolare,
è stato riscontrato che la proteina pTDP-43 si accumula all’interno dei nervi motori dei pazienti con Sla prima che avvenga la degenerazione assonale tipica della patologia, suggerendo che questo evento precoce potrebbe contribuire alla patogenesi della Sla e costituire, in futuro, un possibile biomarcatore diagnostico e un target terapeutico.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Brain, è frutto della collaborazione con altri istituti e ospedali italiani ed è stata possibile grazie al sostegno di Fondazione AriSLA, del Ministero della Salute e della Fondazione Giovanni Marazzina.
«Siamo già a conoscenza, grazie ad analisi post mortem, della presenza di depositi della proteina pTDP-43 nel cervello dei pazienti con Sla. Ma mai questa indagine era stata condotta nei nervi periferici. Sfruttando una particolare tecnica precedentemente sviluppata sempre al San Raffaele, la biopsia del nervo motorio, è stato possibile analizzare gli accumuli di questa proteina in vivo, in pazienti valutati nella fase di inquadramento diagnostico», afferma Nilo Riva, primo autore dello studio.
I ricercatori hanno raccolto retrospettivamente i campioni di nervo motorio prelevati da 102 pazienti affetti da Sla nella fase iniziale della malattia. L’accumulo della proteina è stato riscontrato sia negli assoni (oltre il 98% dei casi) sia nelle cellule di Schwann (oltre il 70%), le cellule che contribuiscono a formare la guaina mielinica intorno agli assoni stessi.
«Gli accumuli di pTDP-43 sono stati trovati anche precedentemente al danno morfologico, ossia prima che avvenisse la degenerazione assonale. Questo significa che, in linea teorica, la presenza di pTDP-43 nel nervo potrebbe essere sfruttata come biomarcatore diagnostico specifico. Data l’eterogeneità fenotipica della Sla, la sua diagnosi non è infatti sempre facile e immediata e normalmente avviene solo attraverso l’analisi dei sintomi. La biopsia del nervo motorio rimane tuttavia una tecnica invasiva, seppur minimamente, e per questo sarebbe da considerarsi un esame di secondo livello, da eseguire in caso di diagnosi dubbie in centri specializzati come il nostro» conclude Riva.
Lo studio del San Raffaele getta anche nuova luce sui meccanismi biologici alla base della malattia e sulla rilevanza del sistema nervoso periferico per lo sviluppo di future terapie. «Il prossimo passo consiste nel cercare di comprendere sempre più nel dettaglio il processo di accumulo proteico che avviene negli assoni e nelle cellule di Schwann», spiega Angelo Quattrini, coordinatore e ultimo nome dello studio.
La ricerca potrebbe aprire la strada anche allo sviluppo di nuove terapie. «Se questi accumuli hanno un ruolo patogenetico, si potrebbe pensare in futuro di bloccare ed eliminare gli accumuli proteici per prevenire così la degenerazione: ricordiamo infatti che ad oggi non esistono cure risolutive per i pazienti affetti da SLA e che le terapie si limitano ad alleviare alcuni sintomi. La nostra ricerca apre nuovi scenari anche per altre malattie neurodegenerative associate all'accumulo di pTDP-43, come la demenza frontotemporale. La presenza di depositi proteici nel sistema nervoso periferico potrebbe costituire, anche in quel caso, un marcatore diagnostico e prognostico innovativo», conclude Massimo Filippi professore ordinario di Neurologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele che ha diretto il team di ricerca