Sicure ma inefficaci. Delusa la speranza delle staminali per curare la sclerosi multipla
Un grande studio condotto in gran parte in Italia e durato otto anni ha chiarito che il trattamento con cellule staminali mesenchimali derivate dal midollo osseo è sicuro e ben tollerato ma non offre nessun beneficio terapeutico. Ma la ricerca non boccia del tutto le staminali
«Il trattamento con cellule staminali mesenchimali derivate dal midollo osseo è sicuro e ben tollerato ma non mostra un effetto sulle lesione captanti gadolinio, un marker surrogato dell’infiammazione acuta rilevato con la risonanza magnetica, in pazienti con forme attive di sclerosi multipla, alla settimana 24. Pertanto, questo studio non supporta l’uso delle cellule staminali mesenchimali derivate dal midollo osseo per il trattamento della sclerosi multipla attiva. Ulteriori studi dovrebbero affrontare l’effetto delle staminali sui parametri relativi alla riparazione dei tessuti».
Sono queste le conclusioni dello studio MESEMS, il più ampio studio clinico multicentrico internazionale mai condotto sull’argomento, coordinato dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova con l’Università di Genova e pubblicato sulla rivista The Lancet Neurology.
Le cellule staminali mesenchimali da qualche anno sono osservate speciali nel trattamento della sclerosi multipla: in virtù delle loro proprietà immunomodulatorie e neuroprotettive sono state proposte come un’opzione terapeutica promettente per le persone con sclerosi multipla.
«Studi preclinici in modelli sperimentali di sclerosi multipla avevano indicato che le cellule staminali mesenchimali possono modulare l’attività del sistema immunitario, proteggere le cellule nervose e anche promuovere la riparazione del danno», ha spiegato Antonio Uccelli, neurologo e direttore scientifico dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova. «Per questi motivi sono state ritenute le candidate ideali all’uso nella sclerosi multipla, in cui sono presenti sia l’infiammazione, sia il danno al tessuto nervoso. Alcune sperimentazioni su pochi pazienti avevano dato risultati incoraggianti».
È nato così lo studio MESEMS, uno studio multicentrico internazionale di fase 2 che ha coinvolto dal 2012 al 2019 15 Centri per la sclerosi multipla in 9 Paesi (Italia, Canada, Regno Unito, Spagna, Francia, Danimarca, Svezia, Austria e Iran) in tutto il mondo, reclutando 144 pazienti.
La sperimentazione, durata otto anni, ha previsto la somministrazione di cellule staminali del midollo osseo, estratte, purificate ed espanse in vitro.
I partecipanti sono stati quindi assegnati casualmente a ricevere l’infusione di staminali o un placebo; oltre al monitoraggio durante tutto il corso dello studio degli effetti collaterali, l’attività del trattamento sulla malattia è stata valutata con risonanza magnetica e sulla base di specifici parametri clinici. Quindi ciascun paziente ha ricevuto il trattamento a cui non era stato sottoposto la prima volta in modo che al termine dello studio tutti i 144 partecipanti abbiano avuto la somministrazione di staminali.
«Purtroppo il nostro studio, ben più ampio e dai criteri più rigorosi mai realizzato finora, non ha dimostrato benefici delle cellule staminali mesenchimali spesso presentate al pubblico come panacea per qualsiasi malattia degenerativa e nonostante evidenze scientifiche ancora frammentarie», ha detto Uccelli. Lo studio, quindi, «ha centrato l’obiettivo solo a metà: l’ infusione di staminali si è infatti dimostrato sicuro e ben tollerato, ma non è emerso l’effetto desiderato di spegnere l’infiammazione, misurata attraverso il numero di nuove lesioni identificate dopo 24 settimane con la risonanza magnetica cerebrale».
Inevitabile la delusione dei ricercatori, dei pazienti e dei sostenitori della ricerca.
«Dal 2003 AISM e la sua Fondazione, hanno scommesso su quello che allora era un territorio ancora inesplorato, promuovendo e finanziando importanti progetti di ricerca sull’utilizzo delle cellule staminali nella sclerosi multipla», ha detto Mario Alberto Battaglia Presidente della FISM, organizzazione che ha finanziato interamente il ramo italiano della ricerca e parzialmente quella condotta a livello internazionale. «Questo studio coordinato dal San Martino di Genova ha permesso di dare risposte certe alle persone con sclerosi multipla sulla sicurezza delle cellule staminali mesenchimali. Siamo fiduciosi che ulteriori studi su questo tipo di cellule e gli altri studi italiani su altre cellule staminali che finanziamo da anni e che vedono in prima linea anche i ricercatori dell’IRCCS di Genova possano rispondere a tutti quei quesiti che la scienza sottopone e alle attese delle persone per arrivare domani ad avere una terapia efficace per la riparazione del danno».
Lo studio MESEMS non chiude però tutte le porte alla speranza di poter trovare una strategia neuroprotettiva con le cellule staminali mesenchimali. I ricercatori stanno ora cercando di comprendere le ragioni di questo insuccesso.
«Per poter essere arruolati nello studio i pazienti dovevano presentare una malattia attiva, tuttavia era ammessa l’inclusione di pazienti sia con forma a ricadute e remissioni che progressiva di malattia e questo potrebbe aver influenzato i risultati. Inoltre non è da escludere che le cellule staminali del paziente stesso possano essere meno efficaci rispetto a quelle isolate da soggetti sani», ha spiegato Uccelli. «Nonostante le cellule staminali mesenchimali non abbiano dimostrato benefici sull’infiammazione tipica della malattia, saranno necessari ulteriori studi per verificare gli effetti del trattamento nel promuovere la riparazione del danno del tessuto nervoso e di conseguenza sul rallentamento del decorso della patologia. A tale scopo, si dovranno prendere in considerazione altre variabili cruciali come la fonte delle cellule, valutando per esempio se siano più adatte cellule staminali mesenchimali provenienti da altri tessuti, per esempio del tessuto adiposo, del paziente stesso o di un donatore sano; verificare se vi siano differenze con altre vie di infusione; valutare possibili benefici modificando la quantità di cellule staminali somministrate in proporzione al peso corporeo di chi le riceve e la frequenza di infusioni, singole o multiple. Speriamo in un prossimo futuro di poter rispondere a questi quesiti, ma senza dubbio desideriamo rivolgere un sincero grazie a tutte le 144 persone che hanno creduto in questa ricerca e a FISM che ha reso possibile questo studio finanziando il progetto», ha concluso Uccelli.