Il sospetto sugli alimenti “ultra-processati”: aumentano il rischio di malattie infiammatorie intestinali
Il consumo regolare di alimenti ultra-processati aumenta dell’82 per cento il rischio di sviluppare malattie infiammatorie intestinali, come morbo di Crohn e colite ulcerosa, rispetto a una dieta che li esclude del tutto. Forse è colpa degli additivi
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Zucchero, grasso e sale a volontà, niente vitamine e niente fibre. Non bisogna essere esperti nutrizionisti per capire che un cibo così composto non è un toccasana. I non addetti ai lavori si fermano qui. Servono invece degli esperti epidemiologi se si vuole scoprire se esiste un’associazione tra gli alimenti ultra-processati che hanno quelle caratteristiche e le malattie infiammatorie intestinali. E servono dati, tanti, e un lungo periodo di osservazione. C’è tutto questo nello studio appena pubblicato sul British Medical Journal che valuta l’impatto del cibo confezionato e ultra lavorato sulla salute dell’intestino.
Un team internazionale di ricercatori ha raccolto informazioni sulle abitudini alimentari di 116mila adulti tra i 35 e i 70 anni di età provenienti da 21 Paesi a basso, medio e alto reddito. Tutti i partecipanti sono stati seguiti per quasi 10 anni fornendo un aggiornamento dei dati ogni tre anni. Durante questo periodo, 467 partecipanti hanno sviluppato malattie infiammatorie intestinali (90 con malattia di Crohn e 377 con colite ulcerosa).
Dopo aver preso in considerazione altri fattori che avrebbero potuto influire sui risultati, i ricercatori hanno osservato che un maggiore consumo di alimenti ultra-processati era associato a un rischio più elevato di malattie infiammatorie intestinali.
Per spiegare di quali cibi stiamo parlando è bene fare qualche esempio: merendine, bevande gassate, cereali zuccherati, piatti pronti contenenti additivi alimentari e prodotti a base di carne e pesce lavorati, conditi generalmente con elevati livelli di zuccheri, grassi e sale, ma privi di vitamine e fibre.
Ebbene, chi consumava cinque o più porzioni al giorno degli alimenti in questione aumentava dell’82 per cento il rischio di sviluppare una malattia infiammatoria intestinale rispetto a chi escludeva del tutto o quasi questi alimenti dalla sua dieta. Chi tutti i giorni ingeriva da una a quattro porzioni di cibo spazzatura (perché di questo si tratta) aveva il 67 per cento di probabilità in più di ammalarsi rispetto a chi si alimentava in modo più sano.
Tra gli alimenti ultra-processati, quelli più dannosi per l’intestino erano le bevande analcoliche, i cibi dolcificati raffinati, gli snack salati e la carne lavorata. Tutti questi alimenti erano associati a rischi ancora più elevati di malattie infiammatorie intestinali.
Non è stata trovata invece alcuna associazione tra il consumo di carne (sia bianca che rossa), di latticini, di farinacei e di frutta, verdura e legumi (come piselli, fagioli e lenticchie) con le patologie intestinali.
Secondo i ricercatori questo dato suggerisce che il problema non stia nel cibo in se ma nel mondo in cui viene elaborato. In particolare il sospetto ricade sugli additivi, emulsionanti, conservanti, coloranti ecc… che potrebbero creare un danno diretto sulle pareti intestinali o indiretto sulla flora batterica e così facendo scatenare l’infiammazione.
«Sono necessari ulteriori studi per identificare specifici potenziali elementi degli alimenti trasformati che potrebbero essere responsabili delle associazioni osservate nel nostro studio», concludono gli scienziati.