Le stagioni di Covid-19

Lo studio

Le stagioni di Covid-19

di redazione

Che la stagionalità potesse avere conseguenze sulla diffusione del Coronavirus e la conseguente epidemia è sempre stato più che un sospetto.

Ora una conferma arriva da uno studio pubblicato sull’International Journal of Environmental research and Public Health, realizzato in collaborazione dall’Istituto di ricerca su innovazione e servizi per lo sviluppo del Consiglio nazionale delle ricerche, l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), la Facoltà di Medicina dell’Università di Napoli Federico II, Dipartimento Ambiente della Regione Puglia e New York University.

«Dopo i drammatici picchi di contagio e decessi dei mesi iniziali dell’epidemia, a partire da maggio il decorso della malattia è stato estremamente più mite» ricorda Antonio Coviello del Cnr-Iriss, uno degli autori dello studio. Questa osservazione empirica, prosegue il ricercatore, «è stata per la prima volta quantificata statisticamente a livello nazionale» analizzando «in maniera sistematica, da aprile ad agosto 2020, il rapporto tra terapie intensive e casi attivi e quello tra decessi e casi attivi. Due indicatori estremamente significativi nello studio dell’aggressività della malattia. Entrambi questi rapporti calano bruscamente a partire da maggio e, all’inizio di agosto, raggiungono valori quasi venti volte minori rispetto al picco di inizio aprile».

Sebbene questi rapporti siano influenzati dall'aumento dei tamponi, precisa Renato Somma, altro ricercatore associato del Cnr tra i firmatari della ricerca, «a un’analisi statistica accurata risultano comunque significativamente minori nei mesi estivi in cui, oltre a essere drasticamente diminuiti i contagi, anche il decorso della malattia è stato molto più mite. Questo effetto è in totale contrapposizione con quanto prevedevano, a maggio, i gruppi internazionali di epidemiologia che arrivavano a ipotizzare migliaia di decessi giornalieri ed oltre 150.000 pazienti bisognosi di terapie intensive entro luglio, dopo le riaperture totali effettuate in Italia dall’inizio di giugno».

Secondo lo studio il calo estivo è da attribuire a due fattori fondamentali, spiega Lorenzo De Natale, dell’Università di Napoli: «L’effetto fortemente sterilizzante dei raggi solari ultravioletti sul virus e la nota stagionalità della risposta immunitaria, che in estate è più efficace e meno infiammatoria. Nella fase grave, Covid-19 si comporta essenzialmente come una malattia auto-immune, in cui i danni maggiori agli organi bersaglio, in primis i polmoni, sono generati dalla risposta infiammatoria del sistema immunitario nota come tempesta di citochine. La marcata stagionalità della pandemia, dimostrata per l’Italia, sembra comune agli altri Paesi europei e potrebbe spiegare la letalità molto bassa riscontrata in Paesi caldi e soleggiati, anche in presenza di condizioni igieniche e sistemi sanitari peggiori che nei Paesi nord-occidentali».

Infine, lo studio analizza la tendenza dei contagi in Italia nel periodo da fine agosto a fine ottobre, «confermando – osserva Coviello - l’effetto di mitigazione estivo con l’osservazione che da settembre, assieme ai contagi, sono risaliti anche i rapporti tra terapie intensive e casi attivi e tra decessi e casi attivi, nonostante il numero di tamponi costantemente in crescita. Poiché andiamo incontro all’inverno – raccomanda infine - bisogna utilizzare adeguate misure di contenimento finché la vaccinazione non eliminerà il problema».