Tumore del polmone: individuato un meccanismo di resistenza all’immunoterapia
L’assenza, o l’espressione ridotta, di una variante di una proteina stimola meccanismi antivirali che danno origine a un’infiammazione. L’infiammazione, a sua volta, favorisce la resistenza all’immunoterapia. È questa la complessa catena di eventi, ricostruita dai ricercatori dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE), responsabile della mancata risposta alle terapie con inibitori di check-point immunitari nel tumore al polmone.
Nel carcinoma polmonare la proteina hMENA può esistere in due varianti: una svolge un’azione anti-invasiva, l’altra al contrario favorisce la progressione del tumore.
I risultati dello studio, pubblicati sul Journal for Immunotherapy of Cancer, dimostrano che la minore espressione della variante “buona” di hMENA, anti-invasiva, attiva nella cellula tumorale dei segnali che mimano la presenza di un virus. Questi ultimi, a loro volta, stimolano la produzione di Interferone di tipo I, una delle maggiori citochine antivirali con effetti anti-tumorali. Ma così facendo producono un effetto paradosso: l’Interferone quando è prodotto continuamente può far aumentare l’aggressività delle cellule neoplastiche e creare un microambiente tumorale favorevole alla resistenza all’immunoterapia. La scoperta apre la strada a nuove strategie per affrontare questi meccanismi di resistenza e per individuare nuove immunoterapie combinate sempre più efficaci.
Lo studio, sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, è stato condotto da Paola Trono, ora ricercatrice del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), e da Annalisa Tocci nell’Unità di Immunologia e Immunoterapia dell’IRE diretta da Paola Nisticò.
«Alcuni anni fa il nostro gruppo di ricerca aveva dimostrato che la proteina hMENA produce diverse forme proteiche. Nelle sue diverse forme, la proteina regola il citoscheletro, quel complesso di filamenti perlopiù proteici che costituiscono l'impalcatura della cellula, controllandone forma e funzioni. Due varianti di hMENA sono, in particolare, coinvolte nella progressione del tumore al polmone non a piccole cellule con funzioni opposte. Per questo una è stata denominata hMENA anti-invasiva, mentre l’altra è detta hMENA pro-invasiva. I pazienti che non hanno la versione anti-invasiva di hMENA sono a maggiore rischio di ricaduta e per questo potrebbero essere candidati a una terapia post-chirurgica mirata», spiega Paola Nisticò.
Il meccanismo di resistenza è dovuto al fatto che hMENA anti-invasiva nella cellula tumorale attiva un sensore virale. «Di conseguenza vengono prodotti diversi mediatori dell’infiammazione che possono essere immunosoppressivi», aggiunge Paola Trono.
«Infatti – spiega Annalisa Tocci – abbiamo dimostrato sperimentalmente che solo le cellule tumorali mancanti di questa variante proteica comunicano con i macrofagi, cellule del sistema immunitario coinvolte nei meccanismi di infiammazione. A loro volta i macrofagi rispondono alle cellule tumorali, rendendole più aggressive».
Tutti i dati sperimentali ottenuti sono stati validati in tessuti tumorali di pazienti con tumore del polmone trattati con inibitori dei check-point immunitari.
«Abbiamo dimostrato che fattori come l’espressione di hMENA anti-invasiva, l’interferone di tipo I e la presenza di macrofagi possono rappresentare una nuova frontiera nella medicina di precisione per selezionare i pazienti da trattare con l’immunoterapia. I dati ottenuti nella nostra casistica sono stati validati, con metodi computazionali, con altre ampie casistiche di pazienti», conclude Paola Nisticò.