Tumori: solo il 15% di tutti gli studi è “no profit”
Sono 183 i Centri censiti che conducono ricerche cliniche sui tumori in Italia. Quasi la metà si trova al Nord (90 Centri), il resto al Centro (44) e al Sud (49).
A rilevarlo è la seconda edizione dell’Annuario dei Centri di ricerca oncologica in Italia, promosso dalla Federation of Italian Cooperative Oncology Groups (Ficog) e dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom): un vero e proprio censimento delle strutture che realizzano sperimentazioni sui tumori nel nostro Paese, presentato giovedì 14 marzo a Roma, nella Giornata nazionale dei gruppi cooperativi per la ricerca in oncologia, promossa da Ficog, che si celebra ogni anno per sensibilizzare i cittadini sull’importanza dei trial clinici indipendenti.
Il volume analizza le caratteristiche dei 183 Centri, il 23% in più rispetto all’edizione dello scorso anno, «contribuendo così a fornire un’analisi ancora più realistica dello stato della ricerca sul cancro nel nostro Paese» osserva Evaristo Maiello, presidente Ficog. Un'analisi che evidenzia «una netta riduzione dello spazio per la ricerca indipendente»: in un anno (2021-2022), nel nostro Paese, gli studi clinici non sponsorizzati dall’industria farmaceutica sono passati dal 22,6% al 15% del totale. Una diminuzione di oltre il 7% in soli dodici mesi, «che rischia di impoverire fortemente il sistema della ricerca no profit in Italia – avverte Maiello - soprattutto in aree molto critiche come l’oncologia». Non per nulla oggi in Italia solo il 20% degli studi sulle nuove molecole contro il cancro è no profit.
Dalla “fotografia” scattata dal volume risulta che circa un terzo delle strutture (36%, pari a 66 Centri) svolge più di venti sperimentazioni all’anno, il 12% oltre sessanta. La qualità degli studi è garantita anche dalla presenza, nel 72% dei casi, di procedure operative standard (SOP, Standard Operating Procedure) che consentono di produrre risultati di alto livello. Resta però il nodo, ancora irrisolto, della mancanza di risorse e personale: il 68% (124 centri) è privo di un bioinformatico e il 49% (89) non può contare sul supporto statistico. Devono essere strutturate figure professionali indispensabili, come i coordinatori di ricerca clinica (data manager), gli infermieri di ricerca, i biostatistici, gli esperti in revisione di budget e contratti. E la digitalizzazione, che consente di velocizzare e semplificare i trial, è ancora scarsa: solo il 43% utilizza un sistema di elaborazione di dati e il 37% una cartella clinica elettronica.
Nel 2023, in Italia, sono state stimate 395.000 nuove diagnosi di cancro. I tumori su cui si concentra il maggior numero di sperimentazioni sono quelli gastrointestinali, mammari, toracici, urologici e ginecologici.
«Il potenziale della ricerca oncologica in Italia è davvero significativo – assicura Francesco Perrone, presidente Aiom - e i nostri studi sono all’avanguardia, ma servono più finanziamenti pubblici. Vi sono, inoltre, forti criticità nella disponibilità di personale e di una solida infrastruttura digitale». Questi elementi, prosegue, «impongono un cambio di passo. Le sperimentazioni a fini regolatori sono paragonabili a “istantanee” sull’efficacia e la sicurezza dei nuovi farmaci. Tuttavia, proprio come in un’istantanea, ciò che accade prima e dopo lo scatto potrebbe non essere messo a fuoco. I limiti intrinseci agli studi registrativi non consentono di ottimizzare l’uso di una terapia nell’intero percorso terapeutico del paziente». Per il presidente Aiom, pertanto, «è necessario un salto di qualità. Vanno previsti studi che non restringano l’attenzione sull’efficacia e tossicità di un singolo farmaco o di una singola associazione di farmaci in un segmento delimitato della storia naturale della malattia, ma guardino all’intero percorso di cura dei pazienti».
Va anche considerato «il valore aggiunto» che possono portare questi ultimi e le loro Associazioni agli studi clinici» aggiunge Elisabetta Iannelli, segretario della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo). Per esempio i patient-reported outcomes (PROs), sono indicazioni provenienti direttamente dai pazienti, senza l’intermediazione o l’interpretazione dei professionisti della salute, che possono riguardare sintomi, effetti collaterali, stato funzionale, percezioni o altri aspetti della terapia come la praticità e la tollerabilità, ma anche altri aspetti che possono incidere sulla qualità della vita oltre che sulla curabilità della malattia. Le indicazioni dei PROs, ribadisce Iannelli in conclusione, «sono di fondamentale importanza per valutare il benessere dei pazienti, il loro stato di salute e la gestione delle terapie. La ricerca, inoltre, può consentire il ritorno alla vita attiva, che si traduce in risparmi per il sistema e contribuisce a dare sostanza alla condizione di guarito».