Violenza sessuale: il cervello sotto choc blocca i movimenti. Ecco perché la mancata reazione non è prova di consenso

La scienza e la legge

Violenza sessuale: il cervello sotto choc blocca i movimenti. Ecco perché la mancata reazione non è prova di consenso

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Immagine: Kate Williams kmw152, CC0, via Wikimedia Commons
di redazione
Niente urla, nessun tentativo di fuga né di attacco. Nessun segno di lotta. Attenzione a considerarlo “consenso”. La mancata reazione delle vittime di stupro ha una spiegazione scientifica: il cervello blocca i circuiti neurali coinvolti nel controllo del movimento. Così su Nature Human Behaviour

No: non urlare, non dimenarsi e non tentare di scappare non significa essere consenzienti. Significa essere bloccate dalla paura. 

Non è difficile a credersi: le donne vittime di violenza sessuale che non contrastano l’assalitore si comportano così perché sono congelate dallo spavento. Questa reazione, psicologicamente comprensibile, riceve ora una spiegazione scientifica che potrebbe tornare utile nelle aule di tribunale. Se non c’è né attacco e né fuga, se nella donna non scatta cioè quell’istintiva risposta al pericolo sintetizzata nel meccanismo “fight or flight”, è perché il cervello, di fronte a una minaccia, potrebbe attivare una terza risposta che consiste nel blocco dei circuiti neurali coinvolti nel controllo volontario sul movimento del corpo.

Le intenzioni dei due neuroscienziati della London Global University che hanno firmato un articolo di commento su Nature Human Behaviour sono chiare: sfatare un falso mito dello stupro con le evidenze delle neuroscienze. Il titolo dell’articolo è esplicito,, “Neuroscience evidence counters a rape myth”, e i due autori sanno bene che le loro affermazioni potrebbero essere più utili nei processi che negli ambienti scientifici. 

Il 70 per cento delle donne vittime di stupro che si rivolge al pronto soccorso, afferma Patrick Haggard coautore dell’articolo, riferisce di di essere rimasta congelata durante la violenza e di non essere stata capace di muoversi o di urlare. 

I ricercatori hanno citato un caso specifico accaduto in Australia e  discusso nel processo “R. v Lennox” del 2018. L’avvocato della difesa aveva cercato di scagionare l’imputato sostenendo che la vittima non avesse tentato in alcun modo di respingere l’uomo tanto che non era emerso alcun segno di lotta. Non conosciamo i dettagli di quel processo, ma è probabile che la controparte avesse fatto notare che una mancata reazione non poteva essere necessariamente interpretata come un consenso. 

Oggi, un’argomentazione del genere potrebbe contare sul sostegno dell’articolo di Nature Human Behaviour. L’immobilità della vittima potrebbe essere stata del tutto involontaria, commentano i due autori dell’articolo, perché infatti il cervello avrebbe potuto attivare la terza reazione possibile rispetto alle due classiche dell’attacco e della fuga, bloccando i circuiti neurali che forniscono il controllo volontario sui movimenti. 

«Le definizioni legali di stupro e violenza sessuale si basano sull'assenza di consenso. Tuttavia, non è insolito che le denunce di mancato consenso delle vittime vengano messe in discussione in tribunale, a fronte di stereotipi non dimostrati su come si comporterebbe una vittima “reale”. Dovremmo usare le scoperte neuroscientifiche per evitare che questi miti vengano spacciati come argomento di difesa per la violenza sessuale e per garantire giustizia alle vittime», ha commentato Ebani Dhawan, co-autore dello studio. 

Succede anche negli animali: in risposta a una minaccia improvvisa e  grave si può innescare una prolungata immobilità in cui il corpo diventa completamente congelato o inerte. 

Nei questionari, le donne vittime di violenza sessuale affermano spesso di non essere state in grado di muoversi o di gridare durante l'aggressione, anche quando non erano più costrette fisicamente. 

«La legge ha da tempo riconosciuto delle attenuanti in caso di “perdita di controllo” accordando una responsabilità ridotta in situazioni specifiche, in cui le prove dimostrano che le azioni sono state compiute al di fuori del controllo volontario. Ciò può includere alcune condizioni mediche, come i disturbi del sonno, insieme a situazioni estreme come il controllo coercitivo e l'attivazione emotiva. Dopo aver esaminato le prove neuroscientifiche, suggeriamo che la stessa considerazione dovrebbe valere nei confronti dell'immobilità involontaria durante lo stupro e l'aggressione sessuale. Speriamo che ciò possa aiutare a porre l'attenzione più ampia sull'importanza cruciale del consenso attivo», ha commentato Haggard. 

I due ricercatori concludono riconoscendo alcuni limiti del loro studio. Lo stupro e l'aggressione sessuale sono comportamenti che per ovvie ragioni non possono essere osservati direttamente. E gli studi sugli animali possono offrire solo una visione parziale sul meccanismo innescato dalla minaccia e su come l’immobilità in risposta all’aggressione possa influenzare il controllo dell'azione volontaria negli esseri umani.