Aviaria, cosa sta succedendo
L’influenza aviaria non è più uno spettro lontano che aleggia su uccelli selvatici e, al più, sugli allevamenti di pollame. Già da un pezzo ha cominciato ad espandere la sua area di diffusione, giungendo in Sud America e da là in Antartide. Ha infettato nuove specie, dai leoni marini ai gatti. E ora si è avvicinata ulteriormente. Da circa una settimana negli Stati Uniti l’attenzione è massima. Il virus A/H5N1 ha infettato diverse mandrie di bovini da latte in cinque stati, dal sud del Texas e del New Mexico, al nord del Michigan, dal centrale Kansas al nord-ovest dell’Idaho.
Anche un uomo, in Texas, ha contratto l’infezione. I sintomi non sono preoccupanti: ha sviluppato soprattutto congiuntivite. Il sequenziamento del virus ha confermato che è del tutto simile a quello dei bovini ed entrambi - uomo e mucche - potrebbero aver contratto l’infezione da uccelli infetti. Il virus identificato nell’uomo, tuttavia, secondo i Centers for Disease Control and Prevention è caratterizzato da una mutazione «associata all'adattamento dei mammiferi» perché migliora «l'efficienza di replicazione nelle cellule dei mammiferi».
Questa mutazione (PB2 E627K) non è comunque nuova: è stata in precedenza identificata sia in altre persone sia in mammiferi infettati dall’aviaria. Inoltre, non sembra influire nella capacità del virus di trasmettersi da uomo a uomo né conferire resistenza agli antivirali disponibili. Con ogni probabilità, spiegano i Cdc, «la mutazione potrebbe essere stata acquisita nel paziente durante lo sviluppo della congiuntivite».
Al momento, secondo le autorità americane il rischio complessivo per la salute umana resta basso.
Tuttavia, le cronache americane sottolineano che l’influenza aviaria è un pericolo da sottovalutare. Lo hanno rimarcato, in un rapporto congiunto, l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e della European Food Safety Authority (Efsa): «Se i virus dell’influenza aviaria A/H5N1 acquisissero la capacità di diffondersi tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala», segnalano.
Il pericolo non è forse immediato. A oggi le infezioni nell’uomo sono poche e occasionali. Non ci sono prove di trasmissione da mammiferi, né da uomo a uomo, né che le infezioni contratte dall’uomo siano poi passate ad altri animali.
La situazione è però seria, soprattutto da quando nel 2020 è comparsa sulla scena mondiale una nuova ‘variante’ di virus A/H5N1 (denominata 2.3.4.4b) che in breve è diventata dominante. Da allora, le infezioni si sono impennate ed è cresciuto il numero di specie interessate. In questo vortice di passaggi da un animale all’altro e tra specie diverse le probabilità che il virus possa acquisire nuove caratteristiche che lo rendano più adatto a infettare i mammiferi crescono notevolmente, sottolineano le due agenzie.
Non è un’eventualità remota, il virus dell’influenza aviaria A/H5N1 ha già imparato a moltiplicarsi in maniera più efficace nelle cellule di mammifero e a sfuggire ad alcune componenti della risposta immunitaria.
Intanto, i cambiamenti climatici hanno conseguenze sulle abitudini degli animali e intensificano gli incontri tra specie diversa. Anche ciò fa crescere ulteriormente le probabilità che il virus vada incontro a modifiche.
Quel che sembra al momento assodato è che se il virus cambiasse al punto da diffondersi agevolmente nei mammiferi e poi nell’uomo, saremo vulnerabili all’infezione.
“Gli anticorpi neutralizzanti contro i virus A/H5 sono rari nella popolazione umana, poiché l'H5 non è mai circolato negli esseri umani”, precisano le agenzie.
Sono già disponibili vaccini contro A/H5N1 e anche contro il ceppo 2.3.4.4b da usare in caso di pandemia.
Tuttavia, sottolineano Ecdc ed Efsa, è fondamentale mitigare il rischio, riducendo al minimo l’esposizione dei mammiferi e l’uomo al virus dell’aviaria e prevenendone la diffusione. Decisivi, per le due agenzie, sono la sorveglianza, la diagnosi precoce, una forte collaborazione tra settore animale e umano, la vaccinazione per le fasce della popolazione più esposta e degli animali. Importante anche alzare la biosicurezza degli allevamenti e adottare misure per ridurre il rischio di trasmissione dalla fauna selvatica agli animali da allevamento. Infine, agire sulla consapevolezza della popolazione delle fasce a maggior rischio. «È importante informare il pubblico sul rischio di infezione e sulle modalità di trasmissione del virus dell’influenza aviaria all’uomo», si legge nel rapporto. «Considerata la portata globale dell’epidemia di influenza aviaria e la vasta gamma di ospiti e settori colpiti, è fondamentale informare e coinvolgere un vasto pubblico di più settori in una strategia coordinata di prevenzione e controllo One Health».