Cancro del collo dell’utero: ancora troppi casi nel mondo. L’eradicazione è lontana

Lo studio

Cancro del collo dell’utero: ancora troppi casi nel mondo. L’eradicazione è lontana

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Immagine: Unknown photographer, Public domain, via Wikimedia Commons
di redazione
Ora come ora, il traguardo dell’Oms di arrivare entro il 2030 a meno di 4 casi ogni 100mila donne all’anno in ogni Paese del mondo sembra un miraggio. Con 600mila nuove diagnosi nel 2020 e 340mila morti nel mondo c'è ancora molta strada da fare. In Italia la tendenza è in aumento

I numeri non promettono bene. I casi di tumore della cervice uterina segnalati nel 2020 nel mondo sono troppi per poter considerare raggiungibile l’obiettivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il traguardo fissato per il 2030 di ridurre l’incidenza a meno di quattro casi ogni 100mila donne all’anno in ogni Paese del mondo, ora come ora, appare eccessivamente ambizioso. Nel 2020, secondo quanto riportato da uno studio pubblicato su Lancet Global Health, ci sono stati 600mila nuove diagnosi di cancro del collo dell’utero e 340mila decessi in tutto il mondo. 

Le donne più a rischio vivono nei Paesi a basso e medio reddito dove le campagne di vaccinazione contro il papillomavirus umano che procedevano a singhiozzo già prima della pandemia hanno subito ulteriori rallentamenti a causa dell’emergenza sanitaria causata da Sars-Cov-2.

In America latina, in Asia e nei Paesi dell’Europa occidentale i progressi degli ultimi decennio nella prevenzione dei tumori sono fortunatamente rimasti stabili. Fa eccezione l’Italia, oltre ai Paesi Bassi, dove dal 2009 si è assistito a un aumento dei casi di tumore.

I ricercatori hanno consultato il database del Global Cancer Observatory (GCO)  dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc)  per stimare l’incidenza e il tasso di mortalità del cancro della cervice uterina nel 2020 in 185 Paesi, tenendo in considerazione i rispettivi livelli di sviluppo socioeconomico per valutare anche una possibile associazione tra il reddito nazionale e  la diffusione della malattia. I risultati sono stati messi a confronto con i dati del passato, dal 1988 al 2017, per individuare le tendenze di aumento o riduzione. 

 

Nel 2020 il tasso di incidenza era pari a 13 su 100mila donne all’anno con 7 decessi ogni 100mila donne all’anno. In 172 Paesi su 185 il tasso di incidenza supera la soglia di 4 casi su 100mila fissata dall’Oms per poter raggiungere la completa eradicazione della malattia. 

Lo scenario è estremamente disomogeneo, con differenze notevoli tra un Paese a un altro. Il numero dei casi e il numero dei decessi può variare di 40 o 50 volte tra le diverse nazioni.  Si va dai 2 casi su 100mila all’anno dell’Iraq agli 84 casi dello Swaziland, in Africa. Il tasso di mortalità va da 1 decesso su 100mila  all’anno della Svizzera ai 56 morti dello Swaziland. Confrontando i dati con la condizione socio-economica dei Paesi, è emerso, come era prevedibile, un legame tra ricchezza ed efficacia della prevenzione. I Paesi più poveri sono quelli con il maggio numero di casi e di morti.  

L’analisi retrospettiva ha messo in evidenza tendenze positive in alcuni Paesi dell'America Latina, tra cui Brasile, Colombia e Costa Rica, dove si è osservata una costante diminuzione dei casi. Un andamento simile è stato osservato in alcuni Paesi dell’Asia, tra cui India, Tailandia e Corea del Sud, così come nell'Europa orientale in Polonia, Slovenia e Repubblica Ceca. Tuttavia, nell'ultimo decennio si sono registrati aumenti di casi nell'Europa orientale, in Lettonia, Lituania e Bulgaria e nell'Africa orientale, ma anche nei Paesi Bassi e in Italia. Gli aumenti potrebbero essere dovuti a una maggiore prevalenza di infezioni da papillomavirus tra le giovani generazioni di donne e la mancanza di programmi di screening efficaci.

I Paesi con il maggior calo dei tassi di incidenza all’anno sono il Brasile (8%), la Slovenia (7%), il Kuwait (7%) e il Cile (6%). Mentre gli aumenti più elevati stati registrati in Lettonia (4%), Giappone (3%), Irlanda (3%), Svezia (3%), Norvegia (2%), Irlanda del Nord (2%), Estonia (2%) e Cina (2%).

«I casi di cancro della cervice uterina sono molto più alti della soglia concordata dall'iniziativa dell'OMS sull'eliminazione del cancro della cervice uterina nella maggior parte dei Paesi, indicando che c'è ancora molto lavoro da fare prima del 2030. Mentre una diminuzione dell'intensità dello screening dovuta alla pandemia di COVID-19 potrebbe aver lasciato un nuovo gruppo di donne suscettibili, la pandemia ha anche favorito l'introduzione del test Hpv autosomministrato, offrendo nuove possibilità per aumentare la copertura dello screening. Altri progressi, come l'ablazione termica per il trattamento del precancro cervicale, l'uso di telefoni cellulari per migliorare il follow-up dopo lo screening e l'apprendimento automatico dell’intelligenza artificiale per migliorare la valutazione visiva, possono essere utilizzati anche in contesti con risorse limitate per ridurre i tassi di cancro della cervice uterina», ha dichiarato La Valentina Lorenzoni, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa tra gli autori dello studio.