Disturbi dell'alimentazione: si abbassa l'età e si alza il numero dei casi
Negli anni Duemila gli esordi dei disturbi della nutrizione e dell'alimentazione (Dna) si manifestavano fra i 16 e i 20 anni, ma oggi l’età si è notevolmente abbassata, con diagnosi a partire già da 8/10 anni e bambini ricoverati a soli 12 anni, quando sono in uno dei periodi più delicati della loro crescita. E se da una parte la fascia di età si abbassa, dall’altra i casi sono in forte aumento: oggi si stimano 8/10 casi su 100 mila abitanti sul territorio italiano. Si è passati dai 680.569 nuovi casi del 2019 a 1.680.456 del 2023, con un progressivo calo di ricoveri di sesso femminile rispetto a quelli maschili: nella fascia tra i 12 e i 17 anni il 20% delle persone colpite sono maschi.
La diagnosi arriva spesso in ritardo, dopo almeno 2-3 anni dall’inizio della patologia, ed è accompagnata quasi sempre da una forte resistenza alle cure.
Solo nel 2022 il numero di decessi con diagnosi correlate ai disturbi dell'alimentazione e della nutrizione (anoressia, bulimia e disturbo da alimentazione incontrollata) sono stati 3.158, con una variabilità più alta nelle Regioni dove sono scarse o addirittura assenti le strutture di cura (Campania, Sardegna, Sicilia, Puglia) con una età media di 35 anni.
Sulla base di questi dati dell'Iss e del Registro delle cause di morte nasce "Disordini nascosti", iniziativa del Gruppo KOS, realizzata a partire dall'ascolto delle storie dei pazienti da parte del suo team medico multidisciplinare (psichiatri, psicologi, dietisti, nutrizionisti, tecnici della riabilitazione psichiatrica).
Presentata mercoledì 13 marzo in vista della 15 marzo sarà la Giornata nazionale del fiocchetto lilla per la sensibilizzazione sui disturbi alimentari (il 15 marzo), l'iniziativa si concretizza in una collezione di sei piatti, illustrata dall'art director Francesca Tucci, che racconta come le cause dei disturbi alimentari siano a tutti gli effetti da ricercare nella mente. Ogni piatto permette di entrare nei pensieri patologici di chi ha un disturbo alimentare, facendo capire quanto il rapporto distorto con il cibo sia legato a un profondo disagio interiore.
Lo scopo dell'iniziativa è di sensibilizzare i media, le Istituzioni e il grande pubblico sulla complessità dei percorsi di cura e riabilitazione che un paziente con Dna deve affrontare.
KOS è un gruppo sanitario privato italiano, che opera principalmente nella riabilitazione psichiatrica, funzionale e nell'assistenza sociosanitaria con venti Centri (nove cliniche specialistiche psichiatriche e undici comunità terapeutiche) e un servizio di telemedicina. Oggi è il primo gruppo in Italia per numero di posti letto dedicati alla cura dei disturbi alimentari, circa cento dei quali accreditati con il Servizio sanitario nazionale.
«A incidere sulla comparsa di questi disturbi sono la disregolazione emotiva, il perfezionismo, la tendenza al sottopeso e al sovrappeso, la presenza di disturbi alimentari in famiglia» spiega Adolfo Bandettini di Poggio, direttore medico psichiatria del Gruppo KOS. «Le cure mirano non solo al recupero fisiologico e nutrizionale, volto al ripristino delle corrette abitudini alimentari – aggiunge - ma anche a quello sociale grazie a un intervento riabilitativo con il coinvolgimento della famiglia».
Da gennaio 2024 il Gruppo ha avviato una collaborazione scientifica anche con il Policlinico Gemelli di Roma.
«I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono disturbi complessi e frequenti negli adolescenti e nei giovani adulti» sottolinea Gabriele Sani, responsabile del Dipartimento di Psichiatria del Gemelli. L’anoressia, la bulimia, il binge eating disorder «sono problemi di salute pubblica che stanno colpendo ragazzi sempre più giovani di ambo i sessi. Una diagnosi chiara e precoce aumenta notevolmente la possibilità di cura». Vanno anche coinvolti i medici di famiglia e i pediatri di base «per arrivare a una diagnosi il più precoce possibile. Infine, ma non ultimo, coloro che sono coinvolti nella comunicazione pubblica devono essere in grado di veicolare messaggi corretti, che abbattano lo stigma ed escludano messaggi potenzialmente patogeni. In questa difficile battaglia – conclude Sani - siamo tutti coinvolti e la chiara collaborazione tra strutture sanitarie e riabilitative pubbliche e private e tra esperti delle diverse professioni è di centrale importanza».