Fratture del femore: un'epidemia silenziosa
La metà degli ultrasessantacinquenni che si fratturano il femore rischia di morire entro cinque anni. A dispetto dei luoghi comuni, il rischio è più alto per gli uomini che per le donne. Inoltre, se per la gran parte dei sessantenni, una frattura non preclude il ritorno alla normale funzionalità, dopo i settanta, spesso, la frattura significa l’inizio di limitazioni permanenti.
Sono alcuni dei dati emersi dal seminario “Fratture da fragilità, un update: scenario, dati, criticità, risposte” promosso dall’Osservatorio Fratture da Fragilità-OFF, «una realtà - racconta la sua fondatrice e presidente Maria Luisa Brandi - nata da una consapevolezza: che l’area delle fratture da fragilità e dell’osteoporosi è da tempo ricca di attori, ma non è mai stata governata adeguatamente».
Numeri da epidemia
«Quello delle fratture da fragilità è un fenomeno subdolo, sottovalutato, mal aggredito», afferma Antonio Tomassini, per quasi venti anni senatore, dieci dei quali passati alla guida della Commissione Igiene e Sanità del Senato e oggi socio fondatore di OFF e presidente dell’Associazione d’Iniziativa Parlamentare per la Salute e la Prevenzione.
Un’epidemia silenziosa, che ogni anno riguarda quasi 100 mila italiani. «E che è destinata a crescere come conseguenza dell’invecchiamento della popolazione. Già oggi abbiamo più di 700 mila ultra-novantenni», dice Graziano Onder, direttore del dipartimento di Malattie cardiovascolari, endocrino-metaboliche e invecchiamento dell’Istituto Superiore di Sanità.
A fotografare nel dettaglio la realtà del fenomeno è un’elaborazione condotta da Giampiero Mazzaglia, professore associato di Epidemiologia e Sanità Pubblica all'Università di Milano Bicocca, che, partendo da uno studio realizzato per la Regione Toscana (Target) ha proiettato su scala nazionale i dati rilevati. È emerso che nelle Regioni italiane, le sole fratture del femore, nella popolazione over 65 hanno un’incidenza che va dai 6,7 casi per mille della Campania al 7,64 della Liguria, mentre la mortalità a cinque anni, sempre per queste fratture, oscilla da un minimo 49,2 per cento della Campania a un massimo del 51,95 delle Marche. Enorme anche l’impatto economico: i soli costi sanitari annui per le fratture da fragilità, considerate nel loro insieme, superano gli ottocento milioni di euro, senza contare quelli della riabilitazione che sono quantificabili in quasi seicento milioni di euro. «È fondamentale considerare che i costi sanitari e quelli di riabilitazione sono solo una parte dell’impatto economico generato dalle fratture» sottolinea Mazzaglia. «Sono infatti molteplici i costi associati al verificarsi di questi eventi: costi medici, sociali e quelli derivanti dalla perdita di produttività. Un insieme molto articolato di voci di spesa e di mancati introiti che, secondo quanto è stato valutato dall’International Osteoporosis Foundation, sfiora in Italia i dieci miliardi di euro».
Non solo anziani
La fragilità ossea, tuttavia, non è solo un problema legato all’avanzare dell’età. Molte patologie portano con sì, direttamente o come conseguenza dei trattamenti, disturbi ossei. Il cancro, per esempio.
« Oggi grazie a diagnosi precoci e terapie mirate, molti tumori consentono tassi di guarigione molto elevati», dice Paolo Veronesi, direttore della divisione di Senologia dell’Istituto europeo di oncologia. «Ci troviamo quindi di fronte a una popolazione di persone sopravvissute al tumore che spesso affrontano terapie a lungo termine, che si sottopongono a terapie ormonali dove come è noto uno degli effetti collaterali riguarda proprio il metabolismo dell’osso». Si tratta soprattutto di donne. Ma non solo: anche gli uomini, che hanno affrontato o stanno affrontando l’esperienza di un tumore come quello della prostata vanno incontro a problemi analoghi. «Per questi pazienti occorre avviare un sistema di controlli periodici e offrire servizi alla persona che non si esauriscono nelle cure oncologiche specifiche. Allo Ieo abbiamo realizzato ciò di cui sto parlando, creando alcuni anni fa il Women Cancer Centre, un centro di supporto globale alla persona, luogo in cui ci facciamo carico della complessità delle problematiche connesse alla salute e al benessere psicofisico delle nostre pazienti. In questo senso reputo sia necessario che i centri d'eccellenza siano in grado di prendere in carico problematiche ossee, ma anche ginecologiche, sessuali e psicologiche, per offrire un autentico supporto alla qualità della vita di chi ha vissuto o sta vivendo l'esperienza del tumore».
Alla ricerca della continuità
Presa in carico, complessità, supporto. L’esperienza dello Ieo è uno degli esempi di come si possa rispondere all’emergenza fratture.
«La continuità assistenziale è la parola d’ordine cui occorre far riferimento se si vuole realmente contenere un fenomeno così devastante per le persone e per la sostenibilità del nostro sistema sanitario come le fratture da fragilità ossea», dice Maria Luisa Brandi. «Basti pensare che secondo uno studio dell’International Osteoporosis Foundation nel nostro Paese il 77 per cento dei pazienti over 50 che hanno subito una frattura, dopo questo episodio, non sono sottoposti ad alcun tipo percorso sanitario per valutare le proprie condizioni o a terapie per contrastare o prevenire i troppo frequenti casi di rifratture».
In questo, la telemedicina può tornare di aiuto. E l’esperienza della pandemia ha contribuito a mostrarlo. Maria Luisa Brandi ha illustrato le esperienze sviluppate in ambito di teleassistenza e teleconsulto proprio nell'ambito dei soggetti con fragilità ossea. «La telemedicina ha aiutato i pazienti con osteoporosi durante la pandemia e li aiuterà anche dopo» sottolinea. «L’invio di piani terapeutici online era qualcosa che attendevamo da tempo e che finalmente è stato realizzato. Non sarà possibile tornare indietro: questo rappresenterà una buona pratica nel ridurre le liste di attesa. I pazienti chiedono di essere valutati online e ci ringraziano per il lavoro fatto. Il paziente con fragilità ossea è un candidato ideale per una valutazione a distanza e il presente è in tal senso già futuro».
Da questo punto di vista, il campo della fragilità ossea, molto più di altre discipline, potrebbe diventare un banco di prova per la medicina a distanza, conclude Brandi.
Non solo: «La fragilità ossea rappresenta un archetipo di molte cose. Per esempio, per affrontare il tema dell’invecchiamento, mettere insieme sociale e sanitario, valorizzare il ruolo dell’informazione dei cittadini/pazienti in un’ottica di prevenzione», afferma la responsabile Area Welfare e Salute del Censis, Ketty Vaccaro.
Un banco di prova, molto più ampio dunque. Da cui altri settori potrebbero trarre insegnamento.