Malaria nel mondo: i casi e i decessi li deciderà il clima

Il rapporto

Malaria nel mondo: i casi e i decessi li deciderà il clima

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Immagine: Rod Waddington from Kergunyah, Australia, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons
di redazione
Le aree endemiche potrebbero diventare tanto aride da impedire la proliferazione delle zanzare-vettori. Al contrario, i Paesi finora risparmiati dalla malaria potrebbero trasformarsi nell’habitat ideale degli insetti grazie al mix giusto di caldo e umidità. Il focus sul clima nel rapporto dell’Oms

La malaria non colpisce tutti nel mondo allo stesso modo, i posti caldi e umidi sono i più pericolosi. È il clima, quindi, a decidere chi corre i rischi maggiori e, da qualche tempo a questa parte, è il cambiamento climatico.  Ci sono già le prove: nel 2022 dopo le intense piogge monsoniche che hanno causato catastrofiche inondazioni in Pakistan, il numero dei casi di malaria è stato di cinque volte superiore a quello degli anni precedenti. Secondo i dati di una recente analisi  il cambiamento climatico dovuto alle attività umane ha aumentato le infezioni tra i bambini dell’Africa subsahariana e nel 2014 è stato direttamente responsabile di 84 casi su 100mila nella fascia di età 2-10 anni. Non stupisce quindi che un corposo capitolo del rapporto annuale sulla malaria (World malaria report 2023) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sia dedicato all’impatto del cambiamento climatico sulla diffusione della malattia infettiva causata dai parassiti del genere Plasmodium e trasmessa all’uomo da zanzare femmine infette. 

Climate change e malaria

Il capitolo si intitola “Climate change, malaria and the global response” e passa in rassegna gli effetti diretti del cambiamento climatico, che riguardano principalmente l’habitat ideale delle zanzare che sono i vettori della malattia, ma anche quelli indiretti sulla salute generale della popolazione (aumento dell’inquinamento, difficoltà di accedere ai servizi sanitari, carestie ecc…). 

Per esempio: la temperatura, le precipitazioni e l’umidità influenzano la cosiddetta “capacità vettrice”, un parametro indicativo dell’efficienza del vettore, la zanzara, nella trasmissione dell’infezione che dipende dallo sviluppo larvale, dalla sopravvivenza delle zanzare, dal tasso di punture umane, ossia in sostanza dalle condizioni ambientali più o meno favorevoli alla nascita e sviluppo degli insetti. 

Con l’aumento delle temperature ci si può aspettare che alcune zone un tempo endemiche diventino troppo aride per favorire la proliferazione delle zanzare, mentre altre finora risparmiate dalla malaria comincino a sperimentare quel mix di caldo e umidità che caratterizza l’habitat ideale degli insetti. E così, in futuro l’incremento delle temperature potrebbe portare a una considerevole riduzione dei casi nelle regioni occidentali e centrali dell’Africa e parallelamente a un aumento dell’incidenza nelle regioni meridionali e orientali.

Il cambiamento climatico può anche incidere sulla durata delle stagioni a maggior rischio di diffusione dell’infezione.

Infine, per citare un esempio dell’impatto indiretto del cambiamento climatico:  le inondazioni in Pakistan del 2022 hanno danneggiato oltre mille strutture sanitarie, lasciando milioni di persone senza accesso all’assistenza sanitaria nei distretti colpiti con la conseguenza di un aumento di morti per malaria.

I dati nel mondo (2022)

Nonostante i passi avanti compiuti nella distribuzione di zanzariere trattate con insetticidi e di medicinali per la prevenzione delle infezioni nei bambini piccoli e nelle donne incinte, i casi di malaria nel 2022 sono aumentati considerevolmente superando quelli del periodo pre-Covid. Si stima che lo scorso anno ci siano stati 249 milioni di casi di malaria nel mondo in 85 aree endemiche, 5 milioni di casi in più rispetto all’anno precedente e 16 milioni di casi in più rispetto al numero registrato nel 2019, pari a 233 milioni. Non è solo colpa di Covid e dell’interruzione dei programmi di prevenzione e controllo delle infezioni durante i due anni di pandemia. La risposta globale alla malaria è stata ostacolata da una serie di fattori, come la resistenza ai farmaci e agli insetticidi, le crisi umanitarie e le guerre, la limitazione delle risorse e l’impatto del cambiamento climatico.  

Nel 2022, la regione africana dell’OMS ha rappresentato circa il 93,6 per cento dei casi e il 95,4 per cento dei decessi a livello globale, il 78,1 per cento di tutti i decessi in questa regione sono avvenuti tra bambini di età inferiore a 5 anni, rispetto al 90,7 per cento nel 2000.

Con circa 2,6 milioni di casi nel 2022 rispetto ai 500mila del 2021, il Pakistan ha registrato l’aumento maggiore dei casi di malaria. Le infezioni sono aumentate anche in Etiopia (+1,3 milioni), Nigeria (+1,3 milioni), Uganda (+597.000) e Papua Nuova Guinea (+423.000), mentre i tassi di nuove infezioni e di decessi  sono rimasti stabili negli 11 Paesi maggiormente colpiti dalla malaria. 

Si può essere ottimisti

Ci sono segnali positivi. Il vaccino RTS,S/AS01 (commercializzato con il nome di Mosquirix), il primo raccomandato dall’Oms, è stato introdotto gradualmente in tre Paesi africani. Rispetto alle aree in cui non è stato somministrato, il vaccino ha ridotto il numero di casi gravi e ha portato a un  calo del 13 per cento delle morti nella prima infanzia per tutte le cause.

Nell’ottobre 2023, l’OMS ha raccomandato un secondo vaccino contro la malaria, R21/Matrix-M. «Si prevede che la disponibilità di due vaccini contro la malaria aumenterà l’offerta e renderà possibile la diffusione su larga scala in tutta l’Africa», si legge nel rapporto. 

La malaria è in ritirata in molti Paesi a basso tasso di malattia. Nel 2022, 34 Paesi hanno segnalato meno di mille casi di malaria rispetto a soli 13 Paesi nel 2000. Solo quest’anno, altri tre Paesi sono stati certificati dall’OMS come liberi dalla malaria, Azerbaigian, Belize e Tagikistan, e molti altri sono sulla buona strada per eliminare la malattia nel prossimo anno.