Un medico del Ssn su tre è disposto a cambiare lavoro. La fascia di età più in crisi tra i 45 e i 55 anni

La survey

Un medico del Ssn su tre è disposto a cambiare lavoro. La fascia di età più in crisi tra i 45 e i 55 anni

di redazione

Il 36%, dei medici e dirigenti sanitari del Ssn, ovvero quasi uno su tre si dice disposto a cambiare lavoro. Più della metà (56,1%) è insoddisfatta delle condizioni lavorative e uno su quattro (26,1%) anche della qualità della vita di relazione o familiare.

Una insoddisfazione che cresce con l’aumentare dell'anzianità di servizio e delle responsabilità, tanto che i giovani medici in formazione (24,6%) si dichiarano meno insoddisfatti dei colleghi di età più avanzata (36,5%), tra i quali si raggiunge l’apice nella fascia di età tra i 45 e i 55 anni, un periodo della vita lavorativa in cui si aspetta quel riconoscimento professionale che il nostro sistema, però, non riesce a garantire.

Cifre che testimoniano quanto il lavoro negli ospedali pubblici sia divenuto causa di sofferenza e di alienazione, risultate della survey condotta dal 30 gennaio al 10 febbraio 2023 dall’Anaao Assomed, a cui hanno risposto 2.130 tra medici e dirigenti sanitari.

Per quanto riguarda i cambiamenti desiderati nel lavoro, il più diffuso è l'aumento delle retribuzioni, con il 63,9 % delle risposte, seguito da una maggiore disponibilità di tempo (55,2%), con una prevalenza del fattore tempo per le donne (39,5%) sugli uomini (47,56%) che invece mirano, in maggiore misura, a retribuzioni più adeguate. Per gli over 65 (15,8%) è prioritaria una maggiore sicurezza rispetto ai colleghi più giovani (6,3%). Al contrario, l’esigenza dei giovani di una maggior disponibilità di tempo per la famiglia e il tempo libero è più alta (37,9 %) rispetto ai colleghi con maggior anzianità di servizio (27,6%). In generale aumento delle retribuzioni e del tempo libero hanno un peso maggiore nelle aspettative rispetto alla progressione di carriera.

Quanto al futuro, un terzo circa si dice disposto a cambiare lavoro, appunto, mentre il 20% si dichiara ancora indeciso: «Forte è il rischio – commenta il sindacato - che, procedendo la sanità pubblica per la impervia strada del definanziamento e della privatizzazione, vadano ad accrescere le fila delle migliaia di desaparecidos che già oggi abbandonano la professione».

La crisi è più sentita al Sud rispetto al Nord: si va dal 53,6% del Nord, passando al 56,3% del Centro per finire al Sud e Isole con il 64,2% di insoddisfatti. «Ma il dato appare talmente diffuso – commenta ancora L'Anaao Assomed - da configurare quasi una patologia endemica con la quale convivere e per la quale non esiste vaccino o terapia».

Per recuperare il gap accumulato con gli altri Paesi europei (l'Italia spende il 6,1% per la sanità contro una media dell'11,3%), secondo il sindacato occorrerebbe un aumento del Fondo sanitario di 10 miliardi l'anno.

Ci sono però anche questioni di organizzazione e di scelte politiche: «Occorre immaginare - propone l’Anaao Assomed - un nuovo modello che tenga nella dovuta attenzione la presa in carico del paziente, sia cronico che in acuzie, aumentando posti letto e personale, e implementando quella medicina di prossimità che appare oggi sempre più teorica».

Per il sindacato «soffrire, e morire, sul lavoro non è un destino, tanto meno stare male può essere accettato come fatto “normale”».

Per questo «serve una profonda riprogrammazione strategica delle politiche sanitarie, un cambio di paradigma che realizzi un netto investimento sul lavoro professionale, che nella sanità pubblica rappresenta il capitale più prezioso. Altrimenti – avverte infine l'Anaao Assomed - anche il Pnrr rappresenterà la ennesima occasione perduta».