Oms: Omicron è ovunque. Ma l’aumento dei casi sta rallentando
Omicron ha conquistato il mondo intero. Resta qualche traccia di Delta, ma le altre varianti sono uscite di scena. Rallenta la crescita dei nuovi casi (+5%) e restano stabili i decessi. Nuovi studi confermano la capacità di Omicron di eludere l’immunità. Il rapporto settimanale dell’Oms
Ieri, 25 gennaio, l’Oms ha diffuso come di consueto il rapporto settimanale sulla pandemia nel mondo. È la 76esima edizione. Per farsi un’idea di come si sta muovendo il virus, che oramai circola quasi esclusivamente sotto forma della variante Omicron, è utile confrontare i nuovi dati con quelli delle due settimane precedenti.
Va specificato che si tratta dell’andamento globale, non necessariamente corrispondente a quello dei singoli Paesi.
In generale nella settimana che andava dal 3 al 9 gennaio (74esima edizione del rapporto) i nuovi casi erano aumentati del 55 per cento rispetto alla settimana precedente. Tra il 10 e il 16 gennaio l’aumento dell’incidenza era del 20 per cento. Ora, nella settimana tra il 17 e il 23 gennaio (76esima e più recente edizione del rapporto), si è osservato un aumento dei contagi del 5 per cento rispetto alla settimana precedente.
Omicron quindi continua a diffondersi, ma il suo avanzamento sta rallentando. Ciò non toglie che in numeri assoluti si sia raggiunto il record di nuovi casi settimanali dall’inizio della pandemia con 21 milioni di nuovi contagi. Il numero dei morti resta grosso modo stabile (50mila).
La situazione mondiale è così descritta dagli esperti dell’Oms: «Un aumento più lento dell'incidenza dei casi è stato osservato a livello globale, con solo la metà delle regioni che ha segnalato un aumento del numero di nuovi casi settimanali, rispetto a cinque regioni su sei nella settimana precedente».
Le regioni di cui si parla sono le macroaree in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità divide il pianeta: Africa, Americhe, Mediterraneo orientale, Sud-Est asiatico, Europa, Pacifico occidentale.
La regione del Mediterraneo orientale ha registrato un aumento dei casi del 39 per cento, seguita da quella del Sud-Est asiatico (36%) e dall’Europa (13%).
L’Africa è la regione del mondo in cui la ritirata di Omicron comincia a essere piuttosto evidente: qui i nuovi casi sono diminuiti del 31 per cento.
Anche in America c’è stato un calo del 10 per cento dei nuovi contagi (negli Usa, in particolare, del 24%). Nella regione del Pacifico occidentale il tasso di incidenza è rimasto stabile.
Come sempre il passaggio ai numeri assoluti può essere spiazzante perché quando scompaiono le percentuali sembrano aprirsi scenari diversi, ma la contraddizione è solo apparente.
Gli Stati Uniti, per esempio, hanno assistito a una notevole riduzione percentuale dei nuovi casi rispetto alla settimana precedente (-24%), ma restano il Paese al mondo con il più alto numero di nuovi contagi settimanali (4. 215. 852). Segue la Francia con oltre 2milioni e 400mila nuovi casi (in aumento del 21% rispetto alla settimana precedente), l’India (2.115.100 di nuovi casi con un aumento del 33%), l’Italia con 1.231.741 nuovi casi e un aumento percentuale simile a quello della settimana precedente, il Brasile (824.579 nuovi casi, un aumento del 73 per cento).
Il numero più alto di nuovi decessi è stato segnalato dagli Stati Uniti dove ci sono stati 10.795 morti, una cifra che però è del 17 per cento inferiore a quella della settimana precedente. Segue la Federazione Russa (4.792 nuovi decessi, con una diminuzione del 7%), l’ India (3.343 nuovi decessi, con un un aumento del 47%), l’Italia (2.440 nuovi decessi, un aumento del 24%) e Regno Unito (1.888 nuovi decessi, un numero simile ai dati della settimana precedente).
Omicron si è presa il mondo intero
Nel mondo oramai c’è quasi solo Omicron. Resta qualche traccia di Delta, ma le variante Alfa, Beta e Gamma sono oramai uscite di scena.
Il 90 per cento delle sequenze del virus sottoposte ad analisi tramite la piattaforma Gisaid corrisponde alla variante Omicron, il 10 per cento a Delta.
Non ci sono grandi novità per quanto riguarda l’identikit della variante Omicron. Tutto quello che si era detto nei precedenti rapporti viene confermato: la nuova variante è altamente trasmissibile, può eludere le difese immunitarie indotte dall’infezione o dai vaccini, preferisce rifugiarsi nelle vie aeree superiori piuttosto che nei polmoni (il che spiega in parte la sua elevata trasmissibilità). Oggi sappiamo che se un membro della famiglia si contagia con la variante Omicron è molto difficile che gli altri conviventi vengano risparmiati dall’infezione. Con Delta le possibilità di schivare il virus erano più alte. Secondo uno studio danese il tasso di attacco secondario (la percentuale di contagiati tra i famigliari di un positivo) con Omicron è del 31 per cento, mentre con Delta è del 21 per cento.
Più contagiosa, meno dannosa
La nuova variante un po’ spaventa e un po’ rassicura. Spaventa perché schivarla sembra impossibile, rassicura perché nonostante l’elevata trasmissibilità fa meno danni delle varianti precedenti, ossia provoca meno ricoveri e meno decessi.
Questo fenomeno potrebbe dipendere da una combinazione di fattori, spiegano gli esperti dell’Oms: alcune caratteristiche biologiche rendono Omicron meno aggressiva tra cui una maggiore probabilità di replicazione nel tratto respiratorio superiore piuttosto che nei polmoni, ma hanno un peso anche i vaccini che pur non garantendo un’elevata protezione dall’infezione allontanano il rischio di malattia grave.
Secondo un'analisi dell'Health Security Agency del Regno Unito con Omicron c’è un rischio di finire al pronto soccorso del 47 per cento inferiore rispetto a Delta (Hazard Ratio 0,53, IC 95% 0,50-0,57) e del 66 per cento inferiore di ricovero.
Il rischio di reinfezione
La variante Omicron ha una maggiore capacità di eludere l'immunità rispetto alle varianti precedenti e di causare re-infezioni in chi è stato vaccinato o in chi ha avuto Covid.
Uno studio condotto nel Regno Unito ha osservato che, rispetto alla variante Delta, il rischio di reinfezione con la variante Omicron era 5,4 volte superiore (6,4 volte superiore in chi non era vaccinati e 5 volte superiore in chi era vaccinato).
Le terapie
Le persone infettate dalla variante Omicron sembrano rispondere bene ai trattamenti con corticosteroidi e inibitori dell’interleuchina 6, ma non agli anticorpi monoclonali (l’unico efficace sembra sotrovimab).
I vaccini
Tre nuovi studi confermano una ridotta efficacia dei vaccini a mRna nel proteggere dall’infezione con variante Omicron. Le due dosi di Moderna arrivano al massimo a un’efficacia del 40 per cento nel prevenire l’infezione sintomatica e le due dosi di Pfizer al 30 per cento. Dopo 6-7 mesi dalla seconda dose la protezione si azzera.
Ma le due dosi di Pfizer proteggono al 70 per cento dalla malattia grave anche dopo sei mesi dalla vaccinazione.
Con la terza dose l’efficacia nel prevenire il ricovero sale all’89 per cento e le probabilità di evitare l’infezione sintomatica arrivano al 62-78 per cento nei primi 3-5 mesi dal booster.