La povertà fa invecchiare prima: toglie sette anni di buona salute
Anche i ricchi invecchiano, ma invecchiano meglio. Non renderà giustizia alla complessità dello studio, ma è questo in sintesi il risultato dell’indagine di Lifepath, progetto finanziato dalla Commissione Europea, pubblicata sul Bmj.
I ricercatori hanno calcolato l’impatto delle condizioni socio-economiche sulla qualità di vita nella vecchiaia: un sessantenne che appartiene alla fascia sociale più svantaggiata può perdere fino a 7 anni di vita trascorsi in buone condizioni fisiche.
Per fare un esempio: un operaio di 60 anni con un lavoro precario ha la stessa funzionalità fisica di un un uomo di quasi 67 anni (66,6 per la precisione) che vive in condizioni più agiate.
Per le donne questa accelerazione dell’invecchiamento è minore ma comunque significativa: le condizioni fisiche di una donna povera di 60 anni sono le stesse di una donna benestante di 65 (64, 6).
L’indagine ha coinvolto 109.107 uomini e donne di età compresa fra i 45 e i 90 anni, provenienti da Europa (inclusa l’Italia), America Latina, Africa, Asia e Stati Uniti. Le condizioni fisiche dei partecipanti sono state valutate misurando la velocità di camminata, un indicatore affidabile delle probabilità di ricovero ospedaliero e di declino cognitivo. Le condizioni socioeconomiche sono state invece dedotte dall’attività lavorativa dei partecipanti.
I calcoli dei ricercatori dimostrano che l’impatto sulla qualità della vita della precarietà economica e lavorativa è paragonabile a quello provocato da altri noti fattori di rischio: a 60 anni, la scarsa attività fisica è associata a una perdita di 5,7 anni di funzionalità negli uomini e di 5,4 nelle donne, l’obesità accelera l’invecchiamento rispettivamente di 5,1 e 7,5 anni, mentre il diabete toglie 5,6 e 6,3 anni di buona salute. Ipertensione (2,3 e 3 anni persi) e consumo di tabacco (3 e 0,7 anni persi) incidono in misura minore.
«Il nostro studio conferma che le avversità socioeconomiche sono un potente fattore di rischio che può avere un impatto molto intenso sulla qualità dell’invecchiamento - dice Silvia Stringhini, ricercatrice all’University Hospital di Losanna, in Svizzera, e coordinatrice dello studio - Ricerche precedenti avevano mostrato che diversi fattori di rischio, inclusa la condizione socioeconomica, tendono ad accumularsi negli stessi individui. I nostri risultati, invece, ci suggeriscono che l’associazione fra un basso profilo occupazionale e il calo nella qualità dell’invecchiamento non è dovuta ad altri fattori di rischio».
Gli effetti della povertà sulla salute si osservano anche su larga scala. I Paesi a basso reddito mostrano una perdita maggiore di anni di vita trascorsi in buone condizioni fisiche.
«Ciò potrebbe essere dovuto a differenze regionali nella distribuzione sociale dei principali fattori di rischio - dice Paolo Vineis, professore all’Imperial College London e coordinatore di Lifepath - come la scarsa attività fisica, l’obesità e il diabete».
Lo studio di Lifepath introduce una importante novità nel panorama degli studi sull’invecchiamento. Generalmente l’impatto dei fattori di rischio viene valutato ricorrendo alla mortalità. Questa volta invece i ricercatori hanno rivolto la loro attenzione alla qualità della vita servendosi di alcuni indicatori di benessere come la funzionalità fisica.
«Non volevamo limitare la nostra analisi alla lunghezza della vita - dice Mika Kivimaki, professore all’University College London - Valutando la qualità dell’invecchiamento e il benessere funzionale delle persone puntiamo a fornire basi scientifiche solide per politiche sanitarie più ampie, capaci di affrontare non solo i classici fattori di rischio ma anche le disuguaglianze di salute».