Professioni sanitarie, il gender gap resta anche in epoca Covid: se il camice lo indossa una donna, la retribuzione è più bassa anche del 24%
Il divario salariale tra uomini e donne nel settore sanitario è inspiegabile. Neanche la pandemia è riuscita a cancellare le diseguaglianze nella retribuzione tra maschi e femmine che indossano un camice. Le più penalizzate sono le donne in età fertile
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Tutti coperti come sono, dalla testa ai piedi, è difficile capire se i medici e gli infermieri dei reparti Covid siano uomini o donne. Sembrano davvero tutti uguali. Ma non lo sono.
Neanche le tute protettive indossate di giorno e di notte, tolte e rimesse senza sosta per mesi durante la fase acuta della pandemia, hanno annullato le differenze salariali tra i maschi e le femmine nelle professioni sanitarie. La pandemia avrebbe potuto colmare il divario, l’emergenza sanitaria globale avrebbe potuto porre fine una volta per tutte all’incomprensibile discriminazione delle donne che indossano un camice pagate meno degli uomini, ma non lo ha fatto.
Lo dimostra l’ultimo rapporto dell’International Labour Organization (ILO), una delle indagini più ampie mai condotte finora nel mondo sulle diseguaglianze di genere nella retribuzione di medici e infermieri, secondo il quale anche in piena pandemia lo stipendio delle donne è stato in media del 20 per cento inferiore di quello degli uomini, ma in alcuni casi il divario è salito al 24 per cento. Non esiste, fanno notare gli autori del rapporto, nessun altro settore professionale con una disparità retributiva tra maschi e femmine così marcata.
L’ILO è l’agenzia delle Nazioni Uniti incaricata di promuovere la giustizia sociale e i diritti umani dei lavoratori che opera in 187 Paesi del mondo e che dal 1919 monitora le condizioni di lavoro degli uomini e delle donne, con uno sguardo attento alle disparità di genere. Quando redigono un rapporto, i ricercatori dell’ILO tengono sempre in considerazione tutti i fattori che potrebbero giustificare un trattamento economico differente tra uomini e donne, a partire dall’orario lavorativo. E, ovviamente, lo hanno fatto anche per l’indagine “The gender pay gap in the health and care sector: a global analysis in the time of COVID-19”.
Ebbene, a parità di turni e di tipo di mansioni, le donne anche durante la pandemia sono rimaste inspiegabilmente sottopagate. “Inspiegabilmente” è esattamente il termine scelto dagli esperti dell’ILO per descrivere il fenomeno.
«Gran parte del divario salariale è inspiegabile, forse a causa della discriminazione nei confronti delle donne, che rappresentano il 67 per cento degli operatori sanitari e assistenziali in tutto il mondo», si legge nel rapporto.
La discriminazione nei confronti delle donne è talmente radicata da colpire l’intero settore e, paradossalmente, finisce per penalizzare anche gli uomini. Il rapporto dimostra infatti che i salari del settore sanitario tendono a essere complessivamente inferiori rispetto ad altri settori economici. Succede per una ragione già nota ai sociologi: gli ambiti professionali in cui le donne sono predominanti sono quelli pagati meno.
E all’interno dello stesso settore, le categorie più pagate sono quelle in cui gli uomini sono sovrarappresentati (posizioni più alte nella carriera), mentre quelle pagate meno sono quelle in cui le donne sono sovrarappresentate.
Il gender gap salariale, infine, aumenta nel periodo riproduttivo: le donne in età fertile sono più penalizzate delle donne che per ragioni anagrafiche non hanno la possibilità di diventare madri.
«Il settore sanitario e assistenziale è caratterizzato da una retribuzione bassa in generale, da divari retributivi di genere ostinatamente ampi e condizioni di lavoro molto impegnative. La pandemia di Covid-19 ha messo in luce questa situazione, dimostrando anche quanto sia vitale il settore e i suoi lavoratori per mantenere in vita le famiglie, le società e le economie. Non ci sarà una ripresa inclusiva, resiliente e sostenibile senza un settore sanitario e assistenziale più forte. Non possiamo avere servizi sanitari e assistenziali di migliore qualità senza condizioni di lavoro migliori e più eque, compresi salari più equi, per gli operatori sanitari e sanitari, la maggior parte dei quali sono donne. È giunto il momento di un'azione politica decisiva«, ha dichiarato Manuela Tomei, a capo del Dipartimento per le condizioni di lavoro e l'uguaglianza dell’ILO.
Esistono però Paesi virtuosi dove donne e uomini che lavorano nel settore sanitario ricevono lo stesso identico trattamento economico dimostrando che l’uguaglianza nella retribuzione è possibile, sottolineano gli autori del rapporto nelle conclusioni.