Rischio cardiaco alto o molto alto per l’87% dei pazienti ipertesi

Lo studio

Rischio cardiaco alto o molto alto per l’87% dei pazienti ipertesi

di redazione

Con oltre 18 milioni di decessi, le malattie cardiovascolari sono la prima causa di mortalità nel mondo. Ogni anno in Italia sono circa 230 mila le persone che muoiono a causa di queste patologie. A livello globale, tra il 1990 e il 2019, il numero di pazienti ipertesi è raddoppiato, passando da 650 milioni a 1,3 miliardi, ma circa quattro su cinque non vengono adeguatamente trattati. In Italia, invece, dei 16,6 milioni di adulti con ipertensione, il 62% ha ricevuto una diagnosi e il 54% un trattamento, ma solo il 28% riesce a tenere sotto controllo la malattia. Si stima che un aumento della copertura delle cure per l’ipertensione potrebbe prevenire 76 milioni di decessi, 120 milioni di ictus, 79 milioni di attacchi cardiaci e 17 milioni di casi di insufficienza cardiaca da qui al 2050.

In occasione della Giornata mondiale per il cuore del prossimo 29 settembre, il Gruppo Servier in Italia presenta i risultati di un’analisi secondaria dei dati raccolti con lo studio Save your HEART, recentemente pubblicata su High Blood Pressure & Cardiovascular Prevention. Save Your HEART, studio osservazionale condotto nelle farmacie italiane nel periodo post pandemico, aveva indagato i fattori di rischio cardiovascolare non diagnosticati o non controllati in persone in trattamento antipertensivo, intercettando coloro che sottovalutavano o ignoravano le possibili conseguenze a cui erano esposti.

Nei mesi successivi gli autori hanno condotto un’analisi secondaria per valutare l'evoluzione del rischio cardiovascolare alla luce dei nuovi target terapeutici e delle nuove Carte del rischio pubblicati all’interno delle Linee guida ESC 2021 sulla prevenzione cardiovascolare.

Queste hanno introdotto l’aggiornamento dell’algoritmo di calcolo del rischio cardiovascolare SCORE (Systematic Coronary Risk Evaluation), denominato SCORE2, per valutare il rischio di sviluppare eventi cardiovascolari fatali e non fatali in dieci anni, prendendo in considerazione anche il fatto che in questo nuovo calcolo l’Italia è purtroppo passata da un rischio cardiovascolare basso (meno di 100 morti cardiovascolari per 100 mila abitanti) a uno moderato (100-150 morti cardiovascolari per 100 mila abitanti).

Quello che emerge dall’analisi secondaria è un quadro complessivo preoccupante, con il 70% circa dei partecipanti che è risultato non in grado di tenere la pressione arteriosa nei limiti previsti dalle nuove linee guida, ma soprattutto con un aumento dei pazienti ipertesi a rischio cardiovascolare alto o molto alto, che è passato dal 49% all’87% circa, considerando non solo gli eventi cardiovascolari fatali, ma anche la possibilità di incorrere in dieci anni in un evento non fatale.

«Nell’immaginario comune si tende a pensare all’Italia come a un Paese caratterizzato da un rischio cardiovascolare basso. In realtà, la fotografia catturata dallo studio ci porta in tutt’altra direzione» commenta Claudio Ferri, professore di Medicina interna all’Università dell’Aquila. «La rivalutazione dello studio Save Your HEART, infatti, mette in luce il grave problema legato alla percezione del rischio cardiovascolare, che spesso viene sottostimato. Questo – sottolinea - nonostante l’età media di insorgenza sia dei fattori di rischio, sia delle patologie cardiovascolari si stia progressivamente abbassando».

L’analisi conferma ancora una volta quanto i fattori di rischio cardiovascolare non adeguatamente controllati contribuiscano ad aumentare il carico di morbilità e mortalità. I trattamenti farmacologici possono ridurre questo rischio, ma la loro efficacia è limitata in caso di mancata aderenza o interruzione precoce della terapia. Per contrastare l'inerzia terapeutica e aumentare l'aderenza del paziente, è fondamentale il follow-up dei pazienti, l'aggiornamento e, ove possibile, la semplificazione della terapia.

«La rivalutazione dello studio Save Your HEART conferma la necessità di una nuova presa in carico del paziente che preveda il coinvolgimento multidisciplinare dello specialista, del medico di medicina generale e del farmacista – osserva infine Marie-Georges Besse, Direttore Medical Affairs del Gruppo Servier in Italia - e l’esigenza di implementare azioni preventive che possano aiutare il paziente stesso a mantenere un buono stato di salute durante tutto l’arco della vita, agendo efficacemente sui fattori di rischio cardiovascolare».