Servizio sanitario nazionale: in tre anni 21 mila medici in meno negli ospedali

Lo studio

Servizio sanitario nazionale: in tre anni 21 mila medici in meno negli ospedali

di redazione

Negli ultimi tre anni, dal 2019 al 2021, il Servizio sanitario nazionale ha perso quasi 21 mila medici specialisti. Circa 8 mila hanno abbandonato l’ospedale per dimissioni volontarie e scadenza del contratto a tempo determinato e altri 12.645 per pensionamenti, decessi e invalidità al 100%.

Questi i risultati di uno studio realizzato dall’Anaao Assomed, il principale sindacato della dirigenza medica del Ssn, frutto dell’elaborazione dei dati del Conto annuale del Tesoro e dell'Onaosi, l'Opera nazionale per l'assistenza agli orfani dei sanitari italiani.

I dati del 2020 e del 2021 del database Onaosi confermano il persistere di una quota importante di licenziamenti (da 2 mila a 3 mila) che si aggiungono alle uscite per pensionamento: 2.886 medici ospedalieri, il 39% in più rispetto al 2020 ha deciso di lasciare la dipendenza del Ssn e proseguire la propria attività professionale altrove.

Il quadro che emerge , sostiene il sindacato, «lascia presagire il progressivo declino della sanità universalistica, per come la conosciamo» dal momento che il livello attuale delle uscite dei medici «è tale da mettere seriamente in pericolo la tenuta del Ssn». È questo perché a fronte di uscite di circa 7 mila medici specialisti ogni anno, l’attuale capacità formativa è intorno a 6 mila neo specialisti, dei quali, stando a precedenti studi dell'Anaaso-Assomed, solo il 65% accetterebbe un contratto di lavoro con il Ssn.

Anche i medici sono vittime del fenomeno meglio noto con l’espressione Great Resignation, il significativo aumento delle dimissioni, che vede un numero crescente di persone in numerosi ambiti lavorativi lasciare il proprio impiego. Le cause sono le più svariate: dal burnout alla ricerca di un posto che preservi il proprio benessere al desiderio avere la possibilità di gestire le giornate di lavoro difendendo il work-life balance. Complice dell’innesco di questo meccanismo è stata sicuramente la pandemia che ha nettamente peggiorato le condizioni di lavoro negli ospedali.

«Per evitare il disastro» sarebbe necessario, secondo il sindacato, stabilizzare rapidamente i precari e cambiare radicalmente la formazione post-laurea: «Occorre, in pratica, anticipare l’incontro tra il mondo della formazione e quello del lavoro, oggi estranei l’uno all’altro» e consentire da una parte ai giovani medici specializzandi di raggiungere il massimo della tutela previdenziale e al sistema sanitario dall'altra parte di utilizzare le energie più fresche per far fronte a «una importante carenza che si prolungherà ulteriormente per almeno tre anni». Per farlo. la soluzione sarebbe la trasformazione dell’attuale contratto di formazione in un contratto a tempo determinato di formazione/lavoro con oneri previdenziali e accessori a carico delle Regioni e il conseguente inserimento dei giovani medici nella rete ospedaliera regionale. «Recuperare il ruolo professionalizzante degli ospedali – conclude il sindacato - rappresenta la strada maestra per garantire insieme il futuro dei giovani medici e quello dei sistemi sanitari».