Terapie anti Hiv: cosa vogliono i pazienti italiani

L'indagine

Terapie anti Hiv: cosa vogliono i pazienti italiani

di redazione

Una persona con Hiv su cinque segnala l’impatto pesante del trattamento sulla vita di ogni giorno ed emerge così la richiesta di terapie più attente alla qualità di vita, soprattutto tra i giovani, e di cure a lunga durata d’azione che permettano al paziente di “liberarsi” dal pensiero della malattia.

È questo, in grande sintesi, quanto emerge da un'indagine effettuata nei primi mesi del 2021 che ha coinvolto i centri della coorte Icona, con il sostegno delle associazioni di pazienti e il supporto di ViiV HC. I dati sono stati presentati all’Italian conference on Aids and Antiviral Research (ICAR) che si è svolto a Riccione dal 21 al 23 ottobre.

L’indagine ha preso in esame circa 600 persone con infezione da Hiv in terapia antiretrovirale con età media di 49 anni, il 42% laureato, sei su dieci con impiego stabile. Il 64% era in trattamento con tre farmaci e il 31% con due soli farmaci.

Dallo studio è emerso appunto che una persona con infezione da Hiv su cinque percepisce in maniera significativa il peso della malattia e della terapia. La giovane età, la non completa soddisfazione del trattamento antiretrovirale assunto e la richiesta di maggiore interazione con un sistema sanitario (medici, infermieri, struttura) più attento alla specifica condizione della persona sono i parametri che più appaiono correlati con il “peso” della malattia.

«Si tratta di dati di grande interesse per il nostro lavoro di ogni giorno» commenta Antonella Cingolani, dell'Università Cattolica e Policlinico Gemelli di Roma. «Colpisce – prosegue - che nonostante la stragrande maggioranza delle terapie anti-Hiv oggi disponibili siano racchiuse in un’unica compressa, quasi il 20% dei soggetti riferisca un peso “eccessivo” del trattamento e della malattia. In particolare, l’insoddisfazione al trattamento e lo scarso dialogo con il medico infettivologo minano significativamente il benessere dei pazienti».

Liberare le persone con infezione da Hiv dalla necessità di assumere i farmaci ogni giorno, attraverso formulazioni di farmaci antiretrovirali a lunga durata d’azione, che in base agli studi risultino in grado di controllare la viremia plasmatica con un’unica somministrazione a mesi di distanza è il futuro prossimo del trattamento dell’infezione. Comprendere i motivi che possono spingere verso questa modalità terapeutica, lasciando il trattamento orale è stato l’obiettivo della seconda analisi dell’indagine. I fattori di preferenza significativi sono stati l’insoddisfazione per la terapia in corso, la diagnosi recente, la difficoltà nell’organizzazione della routine quotidiana legata all’assunzione della terapia e il livello di frustrazione legato alla dipendenza quotidiana da una terapia. Anche in questo caso la giovane età sembra essere un criterio che caratterizza la preferenza verso le terapie a lunga durata d’azione.

«Si tratta di dati per certi versi attesi – dice Alessandro Tavelli, Study Coordinator di Fondazione Icona e data manager dell’indagine - ma che sotto altri aspetti colpiscono. Di certo c’è che le terapie antiretrovirali a lunga durata sono molto attese dai pazienti e che occorre capire, almeno in una prima fase, anche grazie a indagini come questa, chi potrà averne un immediato beneficio proprio in termini di miglioramento della qualità di vita, ossia il vero razionale per cui queste formulazioni sono state sviluppate».

La rete dei Centri Icona è nata oltre venti anni fa per monitorare i dati clinici e la gestione delle terapie antiretrovirali nelle persone con infezione da Hiv che iniziano un percorso terapeutico. Dal 1997 ha arruolato oltre 19.500 persone con infezione da Hiv “naïve” per trattamenti antiretrovirali e ha quindi “archiviato” la storia dell’epidemia e dell’infezione dall’inizio. «Pur con tutti i limiti metodologici, avere strumenti snelli come le indagini effettuate direttamente sulle persone con infezione da Hiv ci consente di fotografare una realtà e riflettere, al fine di poter progettare analisi di coorte più mirate» assicura Antonella D’Arminio Monforte, presidente di Fondazione Icona.