Tumori: immunoterapia sempre più diffusa, ma solo il 20% dei Centri è organizzato per affrontare eventi avversi

Cipomo Day

Tumori: immunoterapia sempre più diffusa, ma solo il 20% dei Centri è organizzato per affrontare eventi avversi

di redazione

Oggi il 70% dei Centri oncologici italiani ha avviato a trattamenti immunoterapici oltre cinquanta nuovi pazienti ciascuno, mentre il 30% ne ha avviati più di cento. Tuttavia, solo nel 20% delle strutture sono stati istituiti gruppi di lavoro multiprofessionali realmente strutturati per la gestione delle possibili tossicità, che possono essere piuttosto frequenti nei pazienti sottoposti a immunoterapia.

Questi numeri sono emersi da un’indagine condotta dal Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo), che ha voluto fotografare lo stato dell'arte nella gestione dell’immunoterapia in 109 strutture complesse di Oncologia distribuite su tutto il territorio nazionale, coinvolgendo 150 professionisti apicali.

La stragrande maggioranza (70%) di loro ha dichiarato di aver iniziato l’immunoterapia su oltre cinquanta pazienti per il trattamento di diverse tipologie di tumore: cancro al polmone (25%), tumori genito-urinari (17%), cutanei (16%), ginecologici (2%).

I risultati dell'indagine sono stati presentati in occasione della quarta edizione del Cipomo Day, meeting virtuale che ha appena chiuso i lavori, dove è stato anche presentato ai medici di medicina generale un vademecum per il riconoscimento e la gestione delle tossicità immunocorrelate.

«L’immunoterapia è la grande novità terapeutica dell’ultimo decennio» commenta Luisa Fioretto, presidente Cipomo e direttrice del Dipartimento oncologico e Soc Oncologia medica dell'Azienda USL Toscana Centro. «Ma come succede nelle svolte epocali – prosegue - si sono aperte nuove sfide che il sistema è chiamato a gestire: dall’informazione per il paziente e i caregiver sul meccanismo di azione, risultati e possibili effetti collaterali, al coinvolgimento multiprofessionale di specialisti interessati nel percorso di cura e di personale infermieristico, fino alle modifiche organizzative conseguenti alla prevalenza dei pazienti in trattamento e alla necessità di creare percorsi dedicati alla tossicità o alle urgenze legate all’immuniterapia. Ecco il motivo di questa indagine».

L’indagine ha fatto anche emergere le ricadute che l’immunoterapia ha sull'organizzazione delle strutture oncologiche. «Oltre all’aumento della spesa per i farmaci, che la stragrande maggioranza dei dirigenti ritiene accettabile – osserva Giuseppe Aprile, direttore della Struttura oncologica dell’Ospedale di Udine – oggi vi è anche la necessità di pensare a una riorganizzazione logistica di accessi e orari di somministrazione. Inoltre, occorre tener conto del surplus di carico di lavoro amministrativo per i dirigenti oncologi».

Con l’arrivo di nuove formulazioni dell’immunoterapia ci si aspetta anche un cambiamento organizzativo favorevole, che andrà a impattare sulla sostenibilità economica. «Nuove vie di somministrazione dei trattamenti immunoterapici, come quella sottocutanea, possono favorire un’oncologia del territorio» sottolinea Sandro Barni, primario emerito di Oncologia all’ospedale di Treviglio (BG) e consigliere nazionale Cipomo. «Il 75% degli oncologi intervistati nell’ambito della nostra indagine precisa - ha affermato che questo cambiamento è abbastanza o molto impattante da un punto di vista organizzativo. L'87% degli specialisti, inoltre, ritiene importante l’educazione dei pazienti e dei caregiver come un ulteriore elemento di sicurezza e qualità».

Rimangono, infine, una serie di interrogativi aperti, il principale dei quali è se e quando è possibile interrompere i trattamenti: «Non abbiamo ancora la risposta –dice Monica Giordano, direttrice dell‘Oncologia all’Asst Lariana – e per questo ci sono studi in corso. Inoltre, sono ancora poche le informazioni che riguardano la tossicità nel paziente potenzialmente guarito, sottoposto a immunoterapia adiuvante».