La tossicità finanziaria: l’altra faccia del cancro che non risparmia nessuna paziente
I 280 euro della legge 102 più l’assegno di inabilità al lavoro quantificato sulla base dei contributi versati (con un requisito minimo di cinque anni) e rinnovabile di tre anni in tre anni.
Poca roba. O comunque non abbastanza per poter dormire sonni tranquilli. Almeno è così per molte di quelle donne che dopo interventi chirurgici, chemioterapia, radioterapia, recidive, controlli periodici e trattamenti debilitanti non riescono a riprendere il lavoro che avevano prima della diagnosi di tumore ovarico. Tra loro c’é Petra, una delle voci del libro bianco sul tumore ovarico “Cambiamo rotta”, che dopo un anno e mezzo dalla scoperta della malattia, all’età di 50 anni, non ce l’ha fatta a tornare a fare la barista, l’attività che aveva svolto per 35 anni. L’incognita della malattia si è sommata così a quella degli aiuti finanziari previsti per la sua invalidità: e se non dovessero rinnovarli?
«È una sconfitta per la società quando una persona non può più lavorare a causa di una malattia. Parlando in questo caso di tumore ovarico, spesso ci troviamo di fronte a donne giovani o comunque nel pieno della loro carriera lavorativa. Smettere di lavorare è negativo soprattutto per la paziente: ci sono diversi studi che dimostrano come mantenersi attivi dopo una diagnosi di tumore, per quanto possibile, aiuti a sopportare meglio gli effetti stessi delle terapie e sia importante dal punto di vista psicologico», dichiara Grazia Artioli, oncologo medico, Ospedale Ca’ Foncello, Treviso.
Secondo quanto emerge dalla ricerca dell’indagine ACTO Italia ETS “Il percorso della paziente con carcinoma ovarico”, in seguito alla diagnosi di tumore ovarico le condizioni lavorative risultano peggiorate per il 65 per cento delle pazienti e le condizioni economiche per il 53 per cento.
Sono i numeri della cosiddetta “tossicità finanziaria”, uno dei più comuni effetti collaterali delle terapie, un evento avverso che non risparmia nessuna famiglia con una persona affetta da tumore ovarico. Sì, è vero: i trattamenti sono a carico del servizio sanitario nazionale e per chi ha una mutazione BRCA in alcune regioni è anche prevista l’esenzione del ticket per gli esami del percorso di sorveglianza. Ma creme, integratori, cure integrate (agopuntura) e altri prodotti (come le parrucche) per contrastare gli effetti delle cure e migliorare la qualità di vita pesano invece sulle tasche delle pazienti.
«Un aspetto spesso sottovalutato, ad esempio, è quello della perdita dei capelli, tra gli effetti collaterali di alcune chemioterapie.
Mantenere il proprio aspetto è importante, specialmente per le donne che lavorano, ma la perdita di capelli rende visibile la malattia. Ovviamente esistono le parrucche, che però hanno un costo elevato e non tutti se le possono permettere. Questa è probabilmente una delle voci che pesa di più nella cosiddetta tossicità finanziaria», commenta Artioli.
Molte donne ignorano di aver diritto ai sussidi perché nessuno le informa: 4 pazienti su 10 non hanno ricevuto informazioni sui propri diritti socio-economici, solo il 26% si sente ben informata.
Eppure un modo per rendere le pazienti consapevoli sin dalle prime visite tanto del percorso terapeutico quanto dei propri diritti esiste ed è stato sperimentato con successo a Modena.
«Nel 2015 abbiamo deciso di semplificare il percorso relativo all’accertamento della disabilità sul paziente oncologico.
In primo luogo, abbiamo ritenuto che fosse l’oncologo di riferimento la persona più indicata non solo ad assistere il paziente, ma anche a fornirgli, fin dalla diagnosi, le principali informazioni anche su questo aspetto. Abbiamo così formato gli Specialisti Oncologi sui temi legati alla Legge 104, all’invalidità civile e alle tutele in ambito lavorativo. Li abbiamo inoltre sensibilizzati sull’opportunità di compilare il certificato oncologico introduttivo, necessario per inoltrare la domanda di disabilità all’INPS. Usualmente, infatti, il certificato viene compilato dal medico di medicina generale, a pagamento, sulla base del referto che l’oncologo rilascia al paziente. Nella nostra realtà è invece spesso l’oncologo che, già alla diagnosi e nel momento della programmazione delle terapie, compila e invia all’INPS il Certificato oncologico introduttivo», spiega Maria Cristina Davolio, medico legale, Responsabile Struttura Semplice Disabilità, Struttura Complessa di Medicina legale e Risk Management, Azienda Usl di Modena.
Il modello di presa in carico totale di Modena, con cure e diritti garantiti allo stesso tempo, funziona: con il nuovo protocollo sono stati azzerati i contenziosi e sono stati erogati il 100 per cento degli accertamenti entro i 15 giorni previsti per legge. Una best practice che andrebbe riproposta ovunque.