Tumore ovarico: il Centro oncologico specializzato fa la differenza. Ma solo il 27% delle pazienti lo sceglie

Percorso di cura

Tumore ovarico: il Centro oncologico specializzato fa la differenza. Ma solo il 27% delle pazienti lo sceglie

multidisciplinare.jpg

Immagine: 'Cambiamo rotta Un libro (bianco) illustrato di voci, bisogni e proposte delle donne con tumore ovarico'. Illustrazione: Elisa Macellari
di redazione
L’équipe chirurgica specializzata in interventi complessi, il team multidisciplianare che garantisce una valutazione a 360 gradi della malattia, i test genetici su cui basare cure personalizzate per la terapia di mantenimento. Per questo i Centri di riferimento sono il luogo migliore per curarsi

Terapie personalizzate, trattamenti mirati per ogni fase della malattia, test genetici su cui basare le decisioni terapeutiche, informazioni chiare per pazienti e caregiver. Ma, prima di tutto, una équipe chirurgica altamente specializzata pronta ad affrontare interventi complessi e un team multidisciplinare che studia la malattia da tutte le prospettive: con gli occhi degli oncologi, degli anatomo-patologi, dei radiologi, radiologi interventisti, medici nucleari, anestesisti rianimatori, radioterapisti,  esperti di biologia molecolare, psiconcologi, fisioterapisti. Sono le queste le caratteristiche specifiche dei Centri specializzati per il trattamento del tumore ovarico che fanno la differenza nella qualità e nell’efficacia del percorso di cura. Eppure solo il 27 per cento delle donne che scopre di avere un tumore all’ovaio si rivolge ai Centri di riferimento, secondo quanto emerge dalla recente indagine "Il percorso della paziente con carcinoma ovarico” di ACTO Italia (Alleanza contro il tumore ovarico ETS).

L’importanza dell’équipe chirurgica specializzata

«Non sempre le pazienti vengono informate dell’importanza di rivolgersi a Centri di riferimento che sono tenuti a garantire anche l’expertise dell’équipe chirurgica, ossia la presenza di un gruppo di chirurghi altamente specializzati e dedicati al tumore ovarico. Questo è un aspetto centrale, perché la chirurgia rappresenta oggi la terapia d’elezione in tutte le fasi della malattia», spiega Giovanni Scambia, direttore dell'Unità operativa complessa di Ginecologia oncologica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma. 

L’intervento chirurgico, infatti, è in ogni caso il primo passo del percorso terapeutico. Lo è se la malattia è allo stadio iniziale quando la chirurgia e la chemioterapia permettono di raggiungere tassi di guarigione anche dell’80-85 per cento. Lo è negli stadi avanzati, quando permette di eradicare la malattia in circa il 60 per cento delle pazienti. Lo è anche per quel 20 per cento di pazienti che riceve la chemioterapia neoadiuvante (cioè pre-operatoria) e lo è, infine, nei casi di recidiva quando può aumentare la sopravvivenza delle pazienti.

«Ovviamente il Centro specialistico deve eseguire un numero elevato di interventi per tumore ovarico - precisa Scambia - e deve garantire anche la presenza di chirurghi epatici, chirurghi vascolari e di tutte quelle figure ultraspecialistiche che possono avere un ruolo in una chirurgia complessa, qualora siano coinvolti gli altri organi addominali».

Dove scelgono di curarsi le donne?

I sintomi del tumore all’ovaio non sono specifici e possono essere confusi con quelli di disturbi meno gravi. Per il 58 per cento delle donne la prima manifestazione è un gonfiore addominale. Seguono poi dolori nella zona del basso ventre (39%) e calo del peso (34%). La diagnosi generalmente arriva in media dopo circa quattro mesi dalla comparsa dei primi segnali. Nel 70 per cento dei casi il tumore viene scoperto a uno stadio avanzato. Se c’è una possibilità di recuperare il tempo perso è quella di rivolgersi a un Centro specializzato. Lo sa bene Paola che ha impiegato vari mesi prima di individuare il posto giusto a cui affidare sua madre di 82 anni con una diagnosi di tumore ovarico sieroso di alto grado al III stadio. La storia di Paola è simile a quella di molte altre raccontate nel volume “Cambiamo rotta”, il primo libro bianco sul tumore ovarico con testimonianze di pazienti e caregiver realizzato da ACTO. Molte donne (pazienti o caregiver) scelgono il Centro di cura in base a una serie di criteri differenti dalla specializzazione della struttura. Nel 41 per cento dei casi ci si affida alle indicazioni del proprio medico, il 40 per cento delle pazienti sceglie l’ospedale più vicino e solo il 27 per cento si rivolge al Centro di riferimento per la ginecologia oncologica che può garantire le discussioni multidisciplinari, l’esperienza dei clinici, l’accesso ai test, ai farmaci e ai trial clinici. 

Le cure personalizzate per ridurre il rischio di recidiva

«Sette-otto volte su dieci ci troviamo di fronte a un tumore in fase avanzata già alla diagnosi» osserva Domenica Lorusso, professoressa di Ostetricia e ginecologia all'Università Humanitas di Milano, direttrrice dell'Unità operatica complessa di Terapia medica ginecologica. «In questi casi - posegue - il volume di malattia condiziona molto la scelta terapeutica. La prima decisione da prendere riguarda il tipo di trattamento da effettuare: se cominciare con una terapia medica, chiamata neoadiuvante, per ridurre la massa tumorale o ricorrere subito alla chirurgia. Il primo obiettivo, infatti, è poter eseguire una chirurgia radicale, in grado cioè di asportare tutta la neoplasia visibile. Di norma, all’intervento segue una chemioterapia di prima linea che si basa sull’utilizzo di due farmaci, infusi insieme per via endovenosa ogni tre settimane, per un ciclo di sei somministrazioni». 

Spesso, però, il percorso non termina qui. Quando il tumore viene diagnosticato in fase avanzata, il rischio di recidiva è molto alto (80% entro tre anni dalla chemioterapia). 

Tra le competenze specifiche dei Centri specializzati c’è proprio quella di individuare la strategia migliore, calibrata sulle singole pazienti, per ridurre il rischio di recidiva. Non si tratta solo di saper scegliere la terapia di mantenimento più efficace, sicura e gestibile ma anche di saperla dosare o modificare in base alla risposta delle pazienti nel tempo. 

Le possibilità per contenere il rischio di recidiva sono tre. «C’è la terapia anti-angiogenica - spiega Lorussso - che impedisce o rallenta la crescita di nuovi vasi sanguigni che possano nutrire il tumore, somministrata per via endovenosa ogni tre settimane. Un’altra possibilità è rappresentata dalle terapie orali mirate che appartengono alla classe dei PARP inibitori: questi farmaci hanno come bersaglio le proteine poli (ADP-ribosio) polimerasi, che sono coinvolte nei processi di riparazione del Dna e della morte programmata delle  cellule. La terza via vede la combinazione di queste due strategie». 

La scelta del tipo di terapia e il dosaggio dei farmaci dipendono da molti fattori, tra cui il profilo genomico del tumore per cui ogni paziente deve ricevere trattamenti personalizzati. 

«Nelle pazienti con mutazioni BRCA, per esempio, l’utilizzo dei PARP inibitori ritarda di circa tre anni la ricomparsa della malattia. E quasi nel 50 per cento dei casi, i dati di letteratura scientifica oggi disponibili ci fanno sperare che possa addirittura essere curativo.  Diventa quindi essenziale per le pazienti avere accesso a Centri multidisciplinari, in cui siano presenti tutte quelle figure professionali necessarie per gestire al meglio anche gli effetti collaterali dei farmaci più innovativi. Per offrire non solo le cure più avanzate e indicate caso per caso, ma anche la migliore qualità di vita possibile delle pazienti», conclude Lorusso. 

 
Sponsorizzato da
           e
 
 
In collaborazione con

 

La proposta

Tumore ovarico, nelle storie delle pazienti la ricetta per cambiare rotta

Presentato al ministero della Salute il primo Libro bianco sul carcinoma ovarico “Cambiamo rotta”, promosso da ACTO Italia. Le priorità nel Manifesto ACTO 2.0: garantire standard ottimali di informazione, prevenzione, diagnosi e cura. Fondamentale rivolgersi ai Centri specializzati
L’impatto economico delle cure

La tossicità finanziaria: l’altra faccia del cancro che non risparmia nessuna paziente

Sì, le terapie fondamentali sono a carico del servizio sanitario. Ma le spese extra sono tante, tra integratori, parrucche, creme e altri prodotti per migliorare la qualità di vita. E poi non è detto che si riesca a riprendere a lavorare. I sussidi esistono, ma molte pazienti non lo sanno
Nuovi scenari

Convivere con il tumore ovarico: le terapie che cronicizzano la malattia

Grazie alle terapie di mantenimento di prima linea si è riusciti a ridurre il rischio di recidiva e con quelle di seconda linea ad aumentare l’intervallo di sopravvivenza libera da progressione. Fondamentali i controlli periodici e l'aderenza alla terapia
Informazioni preziose

Tumore ovarico, test genetici e genomici indispensabili per migliorare prevenzione e terapia

Sono necessari entrambi. I test genetici individuano le pazienti a rischio e sono una guida utile per la prevenzione (ma il 12% delle donne con tumore ovarico non vi accede). I test genomici forniscono informazioni sul tipo di tumore e indirizzano le terapie verso bersagli mirati
La ricerca

Il percorso delle donne con carcinoma ovarico

I risultati dell'indagine condotta da ACTO Italia tra maggio e giugno 2023 su 109 pazienti. Sono ancora poche le donne che scelgono di curarsi in un Centro specializzato. I costi della malattia e la scarsa conoscenza dei diritti tra le principali criticità
Il glossario

Tumore ovarico: dalla A alla Z le parole da conoscere

Ci sono termini diventati ormai familiari. Altri quasi incomprensibili, ma fondamentali per muoversi con consapevolezza nei meandri della malattia. Eccone alcuni tratti dal glossario del libro bianco ‘Cambiamo rotta’