Cancro. Mortalità calata del 5% in 5 anni. Ma Covid rischia di vanificare i progressi

Il dato

Cancro. Mortalità calata del 5% in 5 anni. Ma Covid rischia di vanificare i progressi

di redazione
I risultati più eclatanti nel tumore dello stomaco per le donne è in quelli della laringe per gli uomini. Priorità, superata la pandemia, è realizzare in tutte le Regioni le Reti oncologiche

La lotta al cancro negli ultimi 5 anni ha inanellato una quantità di successi epocali. Nelle donne, la mortalità a 5 anni per cancro allo stomaco è scesa del 20%, quella per tumore della tiroide del 15%, quella per il tumore dell’esofago del 12%; negli uomini, la mortalità per le neoplasie della laringe è scesa del 28%, quella per il tumore della prostata del 15%, quella per i tumori di stomaco, colon-retto e polmone dell’11%. 

Complessivamente, in media, la mortalità per cancro nella popolazione italiana è scesa del 5 per cento. Ma Covid rischia di vanificare questi sforzi, avverte l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), che da domani all’1 novembre sarà impegnata nel  XXII Congresso Nazionale. 

«Il Covid-19 ha dimostrato quanto sia necessario rendere subito operative le Reti oncologiche regionali in tutto il territorio», afferma Giordano Beretta, presidente nazionale AIOM e responsabile Oncologia Medica Humanitas Gavazzeni di Bergamo. «La continuità di cura è stata garantita ai livelli più alti proprio nelle Regioni dotate di Reti, perché l’accesso ai trattamenti è possibile anche nelle sedi periferiche sulla base di indicazioni condivise, limitando così gli spostamenti dei malati. Oggi le Reti sono attive in Piemonte e Valle D’Aosta, Veneto, Toscana, Umbria, Liguria, Provincia autonoma di Trento, Puglia e Campania oltre che in Lombardia ed Emilia-Romagna, pur se con configurazioni differenti. E troppi malati sono costretti a cambiare Regione per curarsi».

«Servono criteri uniformi per rendere operative le Reti – continua Beretta -, agendo in quattro direzioni: riduzione delle migrazioni sanitarie, accesso all’innovazione, punti di ingresso nella rete riconosciuti e vicino al domicilio del paziente, integrazione con la medicina del territorio. Quest’ultimo punto è quello risultato più deficitario durante la prima ondata della pandemia, perché troppi pazienti non sono più andati in ospedale per paura del contagio. Al tempo stesso, però, non sono stati assistiti adeguatamente a livello territoriale. In questi mesi, è stato perso tempo prezioso e non vi sono stati significativi passi in avanti per migliorare l’integrazione fra ospedale e territorio. Le Reti consentono il coinvolgimento dei servizi territoriali, anche nei programmi di prevenzione primaria e di screening, che in alcune Regioni sono ancora bloccati perché il personale che dovrebbe far partire gli inviti è impegnato nell’emergenza Covid. Siamo di fronte a ritardi preoccupanti, perché possono determinare diagnosi in fase più avanzata nei prossimi mesi». 

Uno studio pubblicato dalla University College London ha infatti stimato che la percentuale dei decessi nei prossimi mesi in Inghilterra potrebbe aumentare del 20%, arrivando a 18mila morti causate dal rinvio delle cure e dalla paura dei malati di andare nei centri. 

«Le Reti sono lo strumento per la reale presa in carico globale del paziente oncologico, per ottenere risparmi per il sistema e favorire la qualità e l’appropriatezza delle cure con un approccio multidisciplinare», aggiunge Saverio Cinieri, presidente eletto AIOM e Direttore Oncologia Medica e Breast Unit dell’Ospedale Perrino’ di Brindisi. «Con questo tipo di organizzazione, inoltre è possibile garantire percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali uniformi. Servono punti di accesso, vicino al domicilio dei pazienti, che rappresentano una sorta di ‘gate’ per entrare facilmente nella rete ed essere avviati ai trattamenti. Inoltre ne monitorano il mantenimento in carico presso le strutture di riferimento. Come Società Scientifica chiediamo alle Istituzioni, locali e nazionali, di intervenire quanto prima per la realizzazione delle Reti. Serve anche un rafforzamento della telemedicina che va strutturata ed incentivata, soprattutto per i pazienti in follow-up o per quelli sottoposti a terapie orali in trattamento presso il domicilio. Queste modalità di monitoraggio, però, dovrebbero prevedere piattaforme omogenee tra i vari ospedali e meccanismi amministrativi che regolino questa attività, che durante la pandemia è stata svolta via telefono o email. Siamo pronti a collaborare con la nostra esperienza e competenza».

In Italia, nel 2020, sono stimati 377mila nuovi casi di tumore e sono in costante miglioramento i tassi di sopravvivenza a cinque anni. Negli uomini si è passati dal 39% (1990-94) al 54% (2005-2009), nelle donne dal 55% al 63%. 

«Il merito di questi indubbi successi va ricercato in terapie sempre più efficaci», sottolinea Beretta. «Immuno-oncologia e terapie mirate sono armi utilizzate nella pratica clinica quotidiana, che hanno migliorato in maniera sensibile la sopravvivenza a lungo termine in alcuni tumori in fase metastatica come quelli della mammella, polmone, colon-retto, rene e melanoma. In prospettiva, vanno individuati nuovi marcatori predittivi di risposta alle terapie mirate e l’immuno-oncologia dovrà essere sempre più personalizzata, definendo in anticipo i pazienti candidabili con successo a questo approccio. E sono fondamentali sia gli studi sulle combinazioni con l’immuno-oncologia che quelli sulle migliori sequenze di terapie. Tuttavia restano ancora alcune patologie, come il cancro del pancreas, che presentano sopravvivenze insufficienti a 5 anni. Gli sforzi della ricerca medico-scientifica devono andare in questa direzione»:

«Anche gli studi clinici sono stati ostacolati dal Covid-19, rallentando, se non addirittura fermando in alcuni casi l’arruolamento dei pazienti», conclude Beretta.

«La ricerca oncologica va, quindi, rilanciata e deve proseguire, anche in questa fase delicata di emergenza sanitaria. Da anni, inoltre, stiamo assistendo al problema di accessibilità alle nuove terapie, non sempre disponibili in tutto il territorio in maniera uniforme. Vi sono situazioni in cui l’accesso ad un farmaco è possibile per pazienti di una Regione ma non per quelli di una Regione contigua. Oggi in Italia, accanto al servizio sanitario nazionale, convivono 19 Regioni e 2 Province autonome, che presiedono altrettanti comitati che valutano il recepimento del farmaco nelle strutture sanitarie del loro territorio. Nella maggior parte delle Regioni è presente un prontuario terapeutico regionale vincolante. Per ridurre le differenze nell’accesso ai farmaci, devono essere superati i prontuari terapeutici regionali, che aggiungono uno step nell’iter, già di base lungo, di approvazione e recepimento del nuovo farmaco, prima che quest’ultimo sia realmente disponibile per il paziente. Sarà questa una delle richieste che avanzeremo agli assessori regionali nel tour che, come AIOM, avvieremo nelle prossime settimane». 

AIOM infatti promuoverà, in collaborazione con Senior Italia FederAnziani, un tour nazionale sull’importanza delle Reti. Sarà realizzato un ciclo di incontri in tutte le Regioni, a cui parteciperanno gli assessori regionali alla salute, rappresentanti dei clinici e dei pazienti.