Donare il sangue si impara da giovani

Il sondaggio

Donare il sangue si impara da giovani

di redazione
Per due studenti delle scuole medie su tre la donazione è un valore. Solo il 6% degli studenti dice di non essere interessato all’argomento

Due studenti delle scuole medie inferiori su tre (il 66%) ritengono che la donazione di sangue sia un gesto di alto valore per aiutare il prossimo e solo il 6% dichiara di non essere interessato all’argomento.

È il confortante dato che emerge dalla ricerca presentata il 15 ottobre al Miur, il ministero dell'Istruzione, università e ricerca, dal titolo Il vissuto e l’immaginario degli adolescenti nei confronti della donazione del sangue.

L’indagine ha coinvolto 2.100 studenti di scuola media di tutta Italia ed è stata curata dall'Avis nazionale e dalla Società italiana di pediatria, in collaborazione con la Società di medicina dell’adolescenza e l’associazione Laboratorio adolescenza. La ricerca è stata integrata con due approfondimenti riguardanti Milano: uno su un campione di 800 studenti di terza secondaria di primo grado e uno su un campione altrettanto numeroso di studenti delle ultime due classi di scuole secondarie superiori.

Con il risultato che i dati della ricerca «ci permettono di comprendere quali sono gli spazi di intervento per aumentare il coinvolgimento giovanile» commenta il presidente di Avis nazionale, Vincenzo Saturni. «Bisogna rendere i giovani protagonisti della loro vita – aggiunge - e offrire delle opportunità per mettere in atto gesti concreti di solidarietà».

«So cos'è». L'esistenza della "donazione di sangue" sembra universalmente nota anche quando, per ragioni anagrafiche, è comunque qualcosa che non può essere vissuta personalmente (già a partire dalle scuole medie ne ha sentito parlare oltre il 95%). Le fonti dalle quali questa informazione è stata acquisita sono soprattutto la televisione (78% dei casi) e la famiglia (75%). La scuola è più indietro, indicata dal 68% del campione. Altri canali di informazione come, per esempio, internet o giornali/riviste sono meno indicati, chiaro segno che l'informazione sulla donazione di sangue, all'età del nostro campione risulta più "subita" che cercata.

«Cosa ne penso». Il 66% (che diventa 83% tra gli studenti delle scuole superiori di Milano) considera la donazione di sangue «una cosa giusta da fare per aiutare il prossimo», mentre meno del 6% la considera «un argomento che non mi interessa». Passando, però, dalle dichiarazioni alla pratica (sia pure riferita a un qualcosa necessariamente differito nel tempo), meno del 20% afferma che certamente diventerà un donatore di sangue. D'altra parte il 21% pensa che donare il sangue possa essere rischioso per il donatore e il 34% ritiene che farlo sia doloroso.

Dolore ma, soprattutto, paura di effetti collaterali sono i deterrenti maggiori alla decisione di diventare donatori di sangue. Più disponibili alla donazione sono risultati i ragazzi del sud (22,7%), mentre i meno disponibili quelli del nord-ovest (16,8%). Sulla propensione a donare conta moltissimo la conoscenza diretta di qualcuno che lo fa. La percentuale di chi risponde che "certamente diventerà donatore" passa, infatti, dal 7,5% tra i ragazzi che non conoscono donatori al 25,4% tra quelli che conoscono personalmente almeno un donatore). E il "peso" dei genitori risulta essere quello maggiore: tra chi ha la mamma o il papà (o entrambi) che donano la percentuale di potenziali donatori sale al 36,7%.

«Il mio gruppo sanguigno». Quasi la metà (il 44%) del campione dichiara di non conoscere il proprio gruppo sanguigno. Un dato già non positivo che diventa più allarmante se si considera il test sulle scuole superiori di Milano, in cui la percentuale di maggiorenni che non lo conosce è il 38%.

I risultati della ricerca «sono confortanti – sostiene Giovanni Corsello, presidente Sip - perché dimostrano che la cultura solidale è una realtà ben radicata tra i giovanissimi. Al tempo stesso dimostrano che è necessario rafforzare la corretta informazione riguardo alle caratteristiche della donazione, alla conoscenza del proprio gruppo sanguigno e soprattutto al valore etico della donazione quale unico strumento possibile per salvare vite umane, non sempre sostituibile dai farmaci. Per fare ciò è necessario creare una sinergia tra pediatri, scuola, associazionismo con l’obiettivo di fra crescere la cultura della donazione e farla diventare uno stile di vita. L’investimento sugli adolescenti è strategico – sottolinea infine - anche se non possono essere donatori prima della maggiore età, perché nell’età evolutiva si determina una sorta di imprinting cioè il proprio modo di comprendere il mondo e rapportarsi con gli altri, che poi resta nell’età adulta».