In lotta contro le mutilazioni genitali femminili

Giornata mondiale

In lotta contro le mutilazioni genitali femminili

di redazione
Decine e decine di milioni di donne nel mondo hanno subito mutilazioni ai genitali senza alcuna giustificazione né medica né religiosa. Alcune decine di migliaia sono anche in Italia. Si può aiutarle a uscire da queste pratiche, se vogliono, ma a patto di abbandonare certi stereotipi “occidentali”

Non ci sono prescrizioni mediche e nemmeno religiose a giustificarle, eppure l'Organizzazione mondiale della sanità stima che nel mondo ci siano ben 150 milioni di donne e bambine che hanno subito qualche forma di mutilazione ai genitali. Per lo più sono concentrate in una trentina di Paesi africani e asiatici, ma nemmeno il nostro Paese ne è indenne: secondo le ultime stime, in Italia ci sarebbero oltre 39 mila ragazze sottoposte a una qualche forma di mutilazione nei loro Paesi di origine. Una cifra che nel continente europeo sale fino a 500 mila circa.

Per comprendere un fenomeno così diffuso quanto delicato, l’Istituto mediterraneo di ematologia ha promosso un incontro a Roma venerdì 6 febbraio, in occasione della Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili (Mgf).

Il fenomeno delle infibulazioni o escissioni «si spiega solo attraverso la cultura e la tradizione – sostiene Aldo Morrone, presidente dell’Ime - ed è quindi attraverso la cultura, l'alfabetizzazione, un lavoro che si focalizzi sui principi della comunicazione tra diversità, che si può contrastare e ridurre. In una donna mutilata coesistono molti fattori critici, una sofferenza della sessualità, il senso di solitudine, il dolore fisico e morale, l’esclusione. Ma se ci limitiamo a un discorso etico e inorridito “all’occidentale” - avverte - non riusciremo mai a entrare nella sua esistenza e favorire il convincimento che si possa uscire da simili pratiche senza abdicare alla propria cultura». Proprio per questo Pietro Vulpiani, antropologo, coordinatore di progetti nazionali e transnazionali sulle Mgf, sottolinea la necessità di cambiare modi e contenuti della comunicazione sul fenomeno, poiché, esemplifica, «usare termini come “pratica barbarica” non aiuta l'approccio giusto e rischia di stigmatizzare intere comunità. Gli interventi siano dal basso e il linguaggio favorito da una mediazione interculturale». Magari anche per far sapere alle donne che, spiega Nicola Felici, primario di Chirurgia plastica al San Camillo Forlanini di Roma, si può «tornare indietro e ricostruire una integrità fisica, sessuale e psicologica». A questo proposito, Omar Abdulcadir, ginecologo, direttore del Centro di riferimento prevenzione e cura delle complicanze delle Mgf al Careggi di Firenze, ricorda i quasi 300 interventi di deinfibulazione operati dal suo centro, precisando che «nessuna delle bambine che sono state seguite da un punto di vista sanitario, culturale e sociale, dal nostro centro è stata infibulata».

«Di sessualità femminile, delle problematiche a essa correlate – osserva infine il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin - si parla tanto in modo sbagliato e pochissimo in modo serio. Il ruolo del nostro Paese nella prevenzione culturale oltre che sanitaria, nell’integrazione e nell’affermazione dei diritti delle donne e delle bambine, deve essere fondamentale. Non ci possiamo permettere un arretramento su temi così decisivi – conclude il ministro - e ci aspetta un lavoro enorme sul piano della consapevolezza verso le donne così come verso gli uomini».