La rivincita della pasta: 1.000 piatti ogni giorno al villaggio olimpico di Rio

Alimentazione

La rivincita della pasta: 1.000 piatti ogni giorno al villaggio olimpico di Rio

di redazione
Alle prossime Olimpiadi brasiliane, atleti e “addetti ai lavori” avranno a disposizione ben 2.700 Kg di pasta italiana per le tre settimane dei Giochi. La “dieta del marine”, iperproteica, lascia spazio alla rivincita dei carboidrati

Non sarà solo la “spedizione” italiana a consumare le quasi tre tonnellate di pasta che arriveranno al villaggio olimpico per Rio 2016.

La pasta c'è, per esempio, nella dieta di Usain Bolt e il grande mezzofondista marocchino Hicham El Guerrouj ha dichiarato di amare così tanto spaghetti e lasagne che potrebbe fare da testimonial per la pasta italiana. D'altra parte, anche il mitico Jesse Owens, l’eroe di Berlino ’36, prima delle gare mangiava solo pasta, fornitagli da un amico della Little Italy. E un certo Michael Phelps, considerato il nuotatore più grande di tutti i tempi, non ci andava leggero: un chilo al giorno! Pure la tennista Serena Williams, fresca vincitrice (per la settima volta) del torneo di Wimbledon ha sempre festeggiato le sue quattro vittorie al torneo di Roma con un piatto di pasta.

Per rimanere al tennis, Flavia Pennetta, ricorda la spaghettata extralarge in famiglia per festeggiare la vittoria dello US Open del 2015: «Eravamo a Brindisi, a casa dei miei genitori insieme agli amici e ci siamo ritrovati tutti intorno a una padella enorme di pasta. Sarà stata almeno un metro di diametro!». E il canottiere Giuseppe Vicino, campione del mondo 2015 nel “Quattro senza”, che per prepararsi allo sforzo fisico di gare e allenamenti ne mangia anche 400 grammi al giorno, racconta la scorpacciata al compleanno di un amico: «Nonostante l’avvertimento del cameriere, ordiniamo porzioni molto abbondanti come nostro solito».

Che carboidrati e dieta mediterranea abbiano un ruolo fondamentale nell’alimentazione dello sportivo, professionista o dilettante, lo conferma, in un incontro promosso dall’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane (Aidepi) a Roma, Michelangelo Giampietro, nutrizionista e medico dello sport, più volte accompagnatore delle Nazionali olimpiche di varie discipline: «Il fabbisogno di carboidrati aumenta proporzionalmente al crescere delle ore settimanali e all’intensità degli allenamenti. Per la popolazione generale è di 2-3 grammi per ogni chilo di peso corporeo, ma nel caso degli atleti triplica, fino a 6-10 grammi per chilo. Ed è ancora superiore, 10-12 grammi per chilo, nei giorni precedenti alla gara per maratoneti, nuotatori di fondo, tennisti o ciclisti».

Eppure fino a una decina di Olimpiadi fa (almeno fino a Monaco ‘72) imperava la “dittatura” della bistecca, con i medici dello sport concordi nel basare l’alimentazione dell'atleta soprattutto sulle proteine nobili: la cosiddetta “dieta del marine”. La svolta arrivò alle Olimpiadi di Montréal del 1976, grazie ai riscontri sul campo ottenuti da campioni come Pietro Mennea e Klaus Dibiasi, che attirarono l’attenzione degli addetti ai lavori: per la prima volta il villaggio olimpico aprì le porte della cucina a uno chef della pasta. Venti anni dopo, ad Atlanta ’96, il “cuoco pastasciuttaro” italiano è diventato istituzionale. E alle Olimpiadi invernali di Nagano ’98, viene persino affiancato da uno chef locale.

«Siamo orgogliosi che il simbolo della cultura alimentare italiana si affermi ancora una volta a livello globale – dice Riccardo Felicetti, presidente del gruppo Pasta Aidepi - e diventi punto di riferimento per gli sportivi di tutto il mondo in una manifestazione importante come le Olimpiadi di Rio 2016. Confidiamo che la pasta porti fortuna ai nostri atleti olimpici e sia un buon viatico per un medagliere importate che faccia onore al nostro Paese… La pasta rappresenta il valore aggiunto della dieta mediterranea e, se è vero che un corretto stile di vita inizia a tavola, la scelta di porre questo alimento al centro del menù olimpico smentisce ancora una volta il falso mito per cui la pasta fa ingrassare e non è adatta a uno stile di vita attivo».

C'è anche qualche ricerca che lo conferma. La più recente è stata pubblicata pochi giorni fa sulla rivista Nutrition and Diabetes dal Dipartimento di Epidemiologia dell’Irccs Neuromed di Pozzilli, secondo la quale il consumo di pasta sarebbe in realtà associato a una riduzione dell’obesità, considerando sia quella generale sia quella specificamente addominale. La ricerca (parzialmente finanziato da Barilla) ha preso in esame oltre 23 mila persone inserite in due grandi studi: Moli-sani e INHES (Italian Nutrition & HEalth Survey): «Analizzando i dati antropometrici dei partecipanti e le loro abitudini alimentari – spiega George Pounis, primo autore del lavoro – abbiamo visto che il consumo di pasta, diversamente da quello che molti pensano, non si associa a un aumento del peso corporeo. Al contrario: i nostri dati mostrano che mangiare pasta si traduce in un più salutare indice di massa corporea, una minore circonferenza addominale e un miglior rapporto vita-fianchi».