Italia 2014. L'uguaglianza non abita più qui

Rapporto Osservasalute

Italia 2014. L'uguaglianza non abita più qui

di Sabrina Valletta
L'Italia Paese è il più "diseguale" d'Europa. L'offerta sanitaria varia da Regione a Regione. Così continuano ad aumentare i “viaggi della salute” dal Sud al Nord della penisola

Italia Paese a più velocità. È ancora una volta il caso di dirlo. Il nostro Stivale guadagna il primo gradino del podio e si conferma Paese più disuguale d’Europa, insieme alla Gran Bretagna, nell’accesso alle cure e nell’offerta sanitaria. 

Ad analizzare lo stato di salute della popolazione e la qualità dell'assistenza sanitaria nelle Regioni italiane è l’undicesima edizione del Rapporto Osservasalute (2013), presentata oggi a Roma all'Università Cattolica. Pubblicato dall'Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane, il Rapporto è frutto del lavoro di 165 esperti di sanità pubblica, clinici, demografi, epidemiologi, matematici, statistici ed economisti, distribuiti su tutto il territorio italiano, che operano in università e istituzioni pubbliche nazionali, regionali e aziendali.

Le differenze tra Nord e Sud sono tangibili. «Per un cittadino disabile, ad esempio, l’assistenza al Nord è dieci volte superiore rispetto a quella che si riceve al Sud», spiega il coordinatore del lavoro Walter Ricciardi, direttore del Dipartimento di Sanità pubblica dell’università Cattolica - Policlinico Gemelli di Roma. «Questo, ovviamente, porta i cittadini a spostarsi, in Italia e non solo, alla ricerca di cure e servizi migliori. Sono ancora tanti, infatti, e in leggero aumento, i “viaggi per la salute”, soprattutto dal Meridione al Settentrione». 

Il Rapporto analizza la mobilità ospedaliera, ovvero gli spostamenti interregionali dei pazienti per sottoporsi a cure e interventi chirurgici che richiedono un ricovero. La mobilita dei ricoveri per acuti in regime di ricovero ordinario risulta in leggera crescita: era pari al 6,9 per cento dei ricoveri nel 2002, al 7,4 per cento nel 2007 e al 7,5 per cento nel 2012. Se si guarda invece al numero dei ricoveri fuori regione in valore assoluto, complessivamente si osserva un trend decrescente: si passa da 606.192 dimissioni in mobilità nel 2002 a 575.678 nel 2007, e a 505.675 nel 2012. Ma i valori assoluti diminuiscono perché diminuiscono negli anni i ricoveri nel loro complesso e non, quindi, perché si riducono i viaggi della salute. Tutte le Regioni meridionali e insulari presentano un saldo negativo dei ricoveri in mobilità, ossia si rileva un'eccedenza delle emigrazioni, con la sola eccezione del Molise. In particolare, nel 2012 spicca il saldo negativo della Campania. Anche tra le Regioni del Nord ci sono quelle con saldo negativo come Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria e Provincia autonoma di Trento. Consistenti saldi positivi si rilevano per Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana.

Ricciardi sottolinea come «questo problema rappresenti sempre di più una grande preoccupazione, soprattutto ora che ognuno di noi è libero di spostarsi in Europa, alla ricerca delle cure migliori».

Queste disuguaglianze, inoltre, possono accentuarsi in un momento di grave crisi economica come quello che stiamo vivendo. La spending review, infatti, rischia di far saltare il Servizio sanitario nazionale (Ssn), determinando difficoltà nel breve e nel lungo termine, sia a causa di una riduzione dei servizi di salute offerti alla popolazione, specie a quella meno garantita e con minori disponibilità per curarsi ricorrendo al privato, sia a causa di un aumento della spesa sanitaria sul lungo periodo, aumento determinato dall’effetto boomerang della riduzione degli investimenti in politiche di prevenzione e diagnosi precoce. I risparmi obbligati di oggi rischiano di moltiplicare la spesa nel giro dei prossimi anni.

La spesa sanitaria pubblica corrente in rapporto al Pil a livello nazionale, pur denunciando una crescita dal 2005 al 2012 a un tasso medio annuo dello 0,77 per cento, manifesta una flessione a partire dal 2009 passando dal 7,22 per cento al 7,04 per cento. Questo andamento è in linea con gran parte dei Paesi Ocse, dove la crescita della spesa sanitaria pubblica rispetto al Pil si è rallentata a partire dal 2009 e il tasso medio annuo composto si posiziona sotto l’1,0 per cento nel periodo 2005-2011. Negli anni 2009-2010-2011 il valore italiano è allineato alla media dei Paesi Ocse, anche se inferiore a quelli di altri Paesi come UK, Germania, Francia e Usa di circa 1,5 punti percentuali.

A livello regionale, il trend 2005-2012 registra un tasso medio annuo della spesa sanitaria pubblica rispetto al Pil positivo per la maggior parte delle regioni, con l’eccezione di 6 di esse che presentano, invece, una leggera flessione: Abruzzo (-1,18 per cento), Provincia autonoma di Bolzano (-1,18 per cento), Molise (-1,00 per cento), Liguria (-0,50 per cento), Campania (-0,26 per cento) e Lazio (-0,11 per cento). A partire dal 2010 si registra, anno dopo anno, una contrazione della spesa sanitaria pubblica rispetto al Pil che interessa 7 regioni nel 2010, si estende a tutte, eccetto la Provincia autonoma di Trento, nel 2011 e ne coinvolge 8 nel 2012. La situazione vede, in tutti gli anni 2010-2012, un gradiente Nord-Sud e Isole: le regioni meridionali si presentano con valori superiori all’8 per cento circa e sempre maggiori del dato nazionale, mentre le regioni settentrionali spendono meno del 7,5 per cento circa. L’incidenza minima si ha sempre in Lombardia e la massima in Campania con un divario che si riduce leggermente negli anni passando da 5,36 nel 2010 a 4,84 nel 2012.

La spesa corrente pubblica sul Pil, dunque, si presenta ancora molto variegata fra le regioni con un netto gradiente Nord-Sud ed Isole. «È una situazione che si registra da anni», rileva Ricciardi, «come risulta dalle precedenti edizioni del Rapporto Osservasalute, e non accenna a modificare l’andamento. E testimonia che alcune regioni hanno maggiori risorse di altre per garantire i Lea ai loro cittadini. Al fine di omogeneizzare le risorse e renderle più rispondenti alle condizioni di salute della popolazione, sarebbe auspicabile che si procedesse a un’analisi integrata dei diversi indicatori disponibili al fine di tarare meglio i criteri di ripartizione delle risorse basandoli sulle reali condizioni di salute della popolazione», continua Ricciardi. «Al tempo stesso, sarebbe opportuno che le regioni adottassero tecniche di programmazione delle attività sanitarie e delle correlate risorse (strumentazioni, personale e altri beni) in modo da evitare inutili duplicazioni o situazioni di carenze strutturali che conducono a una lievitazione della spesa».