Emigranti della salute: continuano i “viaggi della speranza”

FENOMENI

Emigranti della salute: continuano i “viaggi della speranza”

di redazione
Ogni anno centinaia di migliaia di italiani lasciano le proprie Regioni per cercare altrove prestazioni che non trovano o ritengono insufficienti

Solo nel 2012 circa 770 mila italiani sono andati a ricoverarsi in ospedali che non erano nella loro Regione di appartenenza. E, con loro, si sono mossi qualcosa come 4 miliardi di euro, due dei quali rappresentano il saldo attivo che le Regioni del Nord possono vantare rispetto a quelle del Sud. Un fiume di denaro che paradossalmente scorre dal Mezzogiorno al Settentrione, cioè dalle Regioni che più avrebbero bisogno di risorse a quelle in cui i servizi sanitari godono fama d'essere più efficaci ed efficienti.

Dei “viaggi della speranza” dei pazienti da una Regione all'altra si è parlato a Roma giovedì 10 maggio in un incontro per la presentazione del Manifesto per i diritti dei pazienti oncologici, promosso da Salute Donna onlus insieme ad altre nove associazioni per accendere i riflettori sulle difformità tra le Regioni nell'assistenza ai pazienti oncologici che, appunto, alimentano buona parte della migrazione sanitaria.

«Negli ultimi 15 anni – osserva Giovanni Fattore, direttore del Dipartimento di Analisi delle politiche e management pubblico e ricercatore senior del Cergas-Bocconi di Milano - è aumentato il divario tra le Regioni del Nord e quelle del Sud in termini di capacità di attrarre pazienti da altre Regioni. Malgrado i forti incentivi a non perdere risorse per pagare la mobilità – aggiunge - molte Regioni del Sud non hanno saputo investire per rafforzare i loro sistemi sanitari. La mobilità sanitaria ha dato una via d’uscita ai pazienti di fronte a servizi locali di qualità modesta e quindi ha ridotto la pressione sociale affinché si investisse nei contesti locali, generando un ulteriore degrado della sanità del Sud Italia».

Il paradosso, insomma, è solo apparente: è ovvio che chi può va a cercare le risposte migliori ai propri bisogni laddove ritiene che si trovino. Già: chi può. Perchè, molto banalmente, spostarsi da una Regione a un'altra comporta anche costi che il Servizio sanitario pubblico non rimborsa: dai viaggi al soggiorno (per almeno un accompagnatore, soprattutto quando si tratta di pazienti di una certa delicatezza come quelli, appunto, oncologici) agli spostamenti sul luogo di cura e così via; si fa presto a raggiungere le migliaia di euro. Che certamente non tutti possono permettersi. E basterebbe questo per mandare l'equità a farsi benedire.

Purtroppo, però, tutto questo è “solo” la conseguenza di quello storico divario tra Nord e Sud che è alla base della migrazione sanitaria e che rappresenta uno degli aspetti strutturali del nostro sistema sanitario. Il quale non riesce a gestire le carenze reali e percepite nell’assistenza che colpiscono soprattutto le Regioni meridionali. Sugli oltre 770 mila italiani ricoverati nel 2012 in una Regione diversa da quella di appartenenza, infatti, il Nord assorbe il 55,1% della mobilità attiva: all’opposto, al Sud tutte le Regioni, tranne il Molise, hanno un saldo negativo. Complessivamente le risorse mobilitate per le cure extra-Regione nel 2012 sono state appunto di circa 4 miliardi di euro. Il saldo finale è di circa 2 miliardi (dati Sdo-Sole 24 Ore Sanità) e si tratta per lo più di risorse che si sono spostate dalle Regioni del Sud a quelle del Nord aumentando il divario e penalizzando la capacità di recupero del Sud. Risorse destinate in particolare per interventi di alta specialità: i ricoveri in mobilità hanno un costo medio di circa 5.200 euro contro un costo medio dei ricoveri di 3.500 euro. In alcune Regioni del Mezzogiorno i numeri si fanno addirittura drammatici. Per esempio, come ricorda Sergio Abonante, direttore della Chirurgia senologica dell'Azienda ospedaliera di Cosenza, «in Calabria il fenomeno della migrazione sanitaria è particolarmente grave: solo il 40% dei pazienti oncologici viene curato nella Regione mentre oltre il 60% è assistito in altre Regioni, soprattutto Lombardia e Lazio, seguite da Sicilia ed Emilia Romagna». Sono infatti in primo luogo gli specialisti oncologi a confrontarsi con l’impatto della migrazione sanitaria su migliaia di pazienti. «Ogni giorno – conferma Paolo Marchetti, direttore dell'Oncologia medica del Sant’Andrea di Roma - noi clinici assistiamo persone che arrivano da altre Regioni per trovare cure e assistenza migliori nei nostri ospedali. I motivi di questa fuga sono diversi, ma nella maggior parte dei casi il paziente “fugge” dalla propria Regione perché non trova i servizi e la tecnologia adeguati».

Ad allarmare ancor più le associazioni dei pazienti sono in particolare due novità legislative: da un lato, la riforma del Titolo V della Costituzione, una delle riforme costituzionali presentate dal Governo Renzi in questi giorni all’esame del Senato, che non prevede un forte ruolo di indirizzo del Governo centrale in materia di sanità e rischia di legittimare le attuali differenze tra le Regioni; dall’altro lato, la Direttiva europea 2011/24/UE, che riconosce ai cittadini europei il diritto di curarsi in qualsiasi Paese dell’Unione e che, a giudizio dei pazienti, è stata recepita nel nostro ordinamento senza prevedere alcun sostegno per le spese di viaggio, favorendo un flusso migratorio dall’Italia verso altri Paesi europei solo a vantaggio delle fasce sociali ad alto reddito.

«Abbiamo deciso di mobilitarci – spiega Anna Maria Mancuso presidente di Salute Donna onlus – perché continuiamo a riscontrare troppe, inaccettabili differenze nella qualità dell’assistenza sanitaria da Regione a Regione. In alcune realtà bisogna scegliere se accontentarsi di un’assistenza sanitaria non adeguata e non tempestiva, mettendo a rischio le chance di sopravvivenza, o se affrontare spese ingenti o addirittura indebitarsi per andarsi a curare altrove. Tutto questo è ingiusto e inaccettabile ed è in palese contrasto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione che sanciscono l’uguaglianza dei cittadini e la salute come diritto».

Nel Manifesto le Associazioni chiedono dunque che venga sancito a livello costituzionale il ruolo dello Stato come garante dell’uniformità sul territorio nazionale delle prestazioni sanitarie e sollecitano inoltre un’Authority nazionale di controllo della qualità delle prestazioni in Oncologia e l’istituzione di un Centro oncologico specialistico di riferimento per ogni Regione.