Arriva in Italia il primo farmaco per il trattamento della mielofibrosi

Medicina

Arriva in Italia il primo farmaco per il trattamento della mielofibrosi

di redazione

Arriva anche nel nostro Paese ruxolitinib, la prima molecola capace di agire direttamente sul bersaglio specifico coinvolto nello sviluppo della mielofibrosi, tumore ematologico raro e grave che colpisce una persona su 100 mila; la sopravvivenza media per chi ne è colpito è inferiore a sei anni, ma nei casi più gravi non arriva a due. Attacca le cellule staminali del midollo osseo dalle quali hanno origine le cellule del sangue, come globuli rossi e bianchi e piastrine. La manifestazione clinica più frequente del mielofibroma è l’ingrossamento della milza, che va a premere sullo stomaco e sull’intestino provocando difficoltà digestive, sensazione di pesantezza, fastidio a livello dell’addome, sazietà precoce e alterazioni delle normali funzioni intestinali. In alcuni casi la milza è talmente ingrossata da occupare gran parte dell’addome fino a comprimere i polmoni, provocando tosse secca, e il rene, determinando difficoltà a urinare; nei casi più avanzati è necessario rimuoverla chirurgicamente. Tra gli altri sintomi, il più comune è la fatigue, che comporta stanchezza, debolezza e dolori muscolari, a cui si aggiungono febbre, sudorazioni notturne, prurito diffuso in tutto il corpo (che peggiora con il contatto con l’acqua) e perdita di peso dovuta all’inappetenza e alle difficoltà digestive.

«Il 60% dei pazienti – spiega Alessandro Maria Vannucchi, professore di Ematologia all’Università di Firenze - è interessato da una mutazione a carico del gene JAK2, scoperta che ha cambiato la storia della patologia e ha aperto la strada ai nuovi farmaci JAK inibitori. Nel 2006 sono state invece scoperte le mutazioni a carico del gene MPL (5-10% dei malati), mentre nel 2013 quelle a carico del gene CARL che interessano il 20% dei malati».

Aver identificato queste mutazioni, come precisa Francesco Passamonti, direttore dell'Ematologia dell'Azienda ospedaliera universitaria ospedale di Circolo di Varese, ha permesso di sviluppare farmaci, come appunto ruxolitinib, che vanno a bloccare il meccanismo alla base della patologia. I due studi condotti per la valutazione dell’efficacia (COMFORT I e II) di ruxolitinib, che hanno coinvolto 528 pazienti con mielofibrosi hanno dimostrato che il farmaco agisce sia sull'ingrossamento della milza (splenomegalia), con una riduzione media del 50%, sia sui segni clinici della malattia come prurito, dolore osseo, muscolare e addominale. «Il più grande vantaggio derivante dall’utilizzo del farmaco, però, è in termini di aumento della sopravvivenza» sottolinea Passamonti. Nello studio COMFORT I si è osservata infatti una riduzione della mortalità del 31% e nello studio COMFORT II una del 52%, rispetto alla migliore terapia convenzionale.

Il farmaco, a somministrazione orale, è stato approvato dall’Fda (Food and drug administration) nel 2011 e dall’Ema (European medicines agency) nel 2012 ed è entrato nella pratica clinica dopo solo cinque anni dal primo paziente trattato negli studi clinici, grazie ai significativi risultati ottenuti nel programma di sviluppo.