Il caos AstraZeneca e perché è tanto difficile stabilire un nesso causale tra i vaccini e i rari eventi avversi

Il commento

Il caos AstraZeneca e perché è tanto difficile stabilire un nesso causale tra i vaccini e i rari eventi avversi

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Immagine: gencat cat, CC0, via Wikimedia Commons
di redazione
Si parla più di sospetti fondati e di possibilità che di certezze. Anche se l’Ema chiede di inserire le trombosi tra gli eventi avversi molto rari del vaccino di AstraZeneca, la dimostrazione inequivocabile di un nesso causale manca. Perché?

Era partito come il vaccino più indicato per gli under 55, perché non c’erano sufficienti dati sperimentali nella fascia di età superiore. Ora, al contrario, viene raccomandato, ma non imposto tassativamente, agli over 60. In Italia, così come in Spagna, in Germania e in Francia, il vaccino AstraZeneca cambia destinatari e verrà offerto (preferibilmente) a una categoria diversa da quella iniziale.  La decisione del governo italiano, presa in accordo con Aifa e il Consiglio Superiore di Sanità, è arrivata in seguito alla valutazione dell’EMA sui casi di trombosi associati al vaccino. Ma si distingue per una maggiore prudenza rispetto al comunicato dell’Ema in cui, per la prima volta, viene riconosciuto come un possibile nesso tra il vaccino e gli eventi trombotici anomali caratterizzati da coauguli di sangue e da livelli bassi di piastrine. Il comitato di sicurezza sui farmaci dell’EMA (PRAC) dichiara che questi eventi andrebbero inseriti nella lista degli effetti avversi molto rari del vaccino, ma non individua categorie più a rischio di altre, né per età né per sesso. 

La maggior parte degli 86 casi oggetto dell’indagine dell’ente regolatorio europeo sono avvenuti in donne di età inferiore ai 60 anni. Ma il dato, evidentemente, non è stato ritenuto statisticamente significativo da obbligare un cambio di rotta della campagna vaccinale. 

Il numero degli eventi registrati nel sistema EudraVigilance, su segnalazione spontanea, su cui si sono concentrati gli esperti del comitato di farmacovigilanza dell’Ema arrivano fino al 22 marzo 2021 quando 25 milioni di persone avevano già ricevuto il vaccino Vaxzevria (AstraZeneca) in Europa e nel Regno Unito. Gli scienziati avanzano anche una “spiegazione plausibile” per gli anomali eventi trombotici associati al vaccino: potrebbe trattarsi di una risposta immunitaria con conseguenze simili a quelle osservate in alcuni pazienti che assumono eparina. 

Un caso difficile

Il compito del comitato di farmacovigilanza europeo non deve essere stato facile. In prima battuta, lo scorso 18 marzo, l’Ema aveva ammesso di trovarsi in difficoltà, sostenendo che il vaccino AstraZeneca era sicuro ed efficace e che non c’era motivo di sospenderne l’us, ma dichiarando allo stesso tempo che non si poteva escludere un legame tra gli eventi trombotici e il vaccino. 

Nulla di strano. Stabilire un nesso di causa ed effetto tra un vaccino e un evento successivo alla sua assunzione è infatti un’impresa ardua. Soprattutto quando i casi segnalati sono estremamente rari. Come si fa a distinguere una semplice coincidenza temporale da un’effettiva reazione all’immunizzazione? Un articolo su Nature spiega perché è così difficile dimostrare che un determinato problema di salute possa dipendere dalla vaccinazione.

 

Se la prova arriva dal laboratorio

Ci sono casi in cui la svolta nelle indagini arriva dai test di laboratorio. È successo con le prime versioni dei vaccini antipolio che utilizzavano forme attenuate del virus. Una persona su 2 milioni di dosi sviluppava la malattia dopo la vaccinazione. Coincidenza o evento avverso? Quella volta è stato facile: la risposta l’ha data l’esame del fluido spinale del paziente dove è stato individuato il ceppo virale usato nel vaccino. Non c’erano dubbi: il farmaco immunizzante era il responsabile dell’evento avverso. Ma spesso non c’è la possibilità di ricorrere a questo tipo di riscontro perché non esistono biomarker specifici che possano indicare le responsabilità del vaccino. 

Il timing confonde, la statistica aiuta

Almeno all’inizio, gli eventi avversi possono sembrare associati alla vaccinazione solamente da un nesso temporale, il vaccino viene prima di un dato evento ma non è detto che ne sia la causa.  

E a volte la statistica aiuta a dirimere la questione. Se nel gruppo di persone vaccinate un determinato evento si verifica in percentuali maggiori rispetto a quanto ci si aspetterebbe nella popolazione non vaccinata, il sospetto di una responsabilità del vaccino si fa più fondato. 

Chiaramente maggiore è la differenza tra i due gruppi, più forti sono le prove a carico del vaccino. Nel caso di AstraZeneca i casi esaminati dall’Ema sono forme di trombosi che avvengono raramente già nella popolazione generale. Gli esperti hanno notato quindi che nelle persone vaccinate queste trombosi sono un po’ meno rare (ma comunque rarissime) di quanto ci si aspetterebbe senza il vaccino.

La soluzione richiede tempo

L’indagine però non può fermarsi qui. Bisognerà ricostruire il meccanismo che può aver provocato la reazione. E può passare molto tempo prima di trovare la soluzione, come dimostra quanto accaduto in un’altra pandemia. 

Nel 2009 durante l’influenza suina causata dal virus H1N1 erano stati segnalati casi sospetti di narcolessia in bambini che avevano ricevuto il vaccino Pandemrix. Il dato statistico suggeriva che il fenomeno non fosse casuale: un evento ogni 18.500 vaccini era una casistica molto superiore a quella che ci si sarebbe aspettata in condizioni normali. 

All’inizio si è pensato che un composto adiuvante del vaccino potesse scatenare una risposta immunitaria che a sua volta favorisse la narcolessia. Ma la certezza non si è mai avuta. Uno studio del 2018 ha messo a confronto i tassi di narcolessia del passato con quelli registrati dopo l’uso dei vaccini anti-influenzali contenenti l’adiuvante sospetto senza trovare prove concrete di un aumento del rischio di narcolessia dovuto al vaccino. 

Gli eventi avversi rari non si vedono nei trial clinici

La narcolessia, così come le trombosi del caso AstraZeneca, non era tra gli eventi avversi emersi nei trial clinici del vaccino antinfluenzale. Gli studi sperimentali verificano la sicurezza e l’efficacia dei vaccini su migliaia di persone ma anche il più ampio trial clinico immaginabile non è disegnato per individuare effetti avversi estremamente rari dell’ordine di meno un caso su 10mila vaccinazioni. Eventi di questo livello di rarità possono emergere solamente nel mondo reale quando milioni di persone ricevono il vaccino. A quel punto per gli addetti alla farmacovigilanza comincia l’indagine più difficile: stabilire un rapporto di causa ed effetto tra i vaccini somministrati a milioni di persone rimaste indenni e una manciata di casi con danni gravi alla salute successivi alla vaccinazione. È difficile trovare il bandolo della matassa perché i casi sono pochi e il confronto con il gruppo di controllo (la popolazione non vaccinata) non è quasi mai dirimente. Né lo è il confronto con i dati del passato, quelli precedenti alla vaccinazione, perché questi potrebbero essere falsati dall’impiego in periodi precedenti di sistemi diagnostici meno precisi di quelli attuali. C’è il rischio cioè che i casi del passato siano stati sottodiagnosticati e non rispecchino l’attuale incidenza. Non è semplice effettuare in tempi brevi una approfondita indagine epidemiologica che metta a confronto i dati dei vaccinati con quelli dei non vaccinati, i casi segnalati prima e dopo l’inizio delle campagne vaccinali, aggiustandoli anche in base ai progressi delle tecniche  diagnostiche. Ecco perché gli esperti dell’Ema, pur indicando di cambiare il bugiardino del vaccino, parlano di un’associazione “possibile” tra il vaccino AstraZeneca e i casi di trombosi, e non di causalità certa.