Hiv, tra ignoranza e discriminazione

Duri a morire

Hiv, tra ignoranza e discriminazione

di redazione
Si sentono al riparo dalle infezioni perché sono nel giusto, spesso pensano che evitare le persone con Hiv sia l’unico modo per prevenirla. Ritratto degli italiani del XXI secolo

«Aids, se lo conosci lo eviti». Chi non lo ricorda? È il leitmotiv dello sfortunato spot per informare la popolazione sull’Aids  tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90. E sembra ancora risuonare nella testa degli italiani. 

Uno su 6 ritiene infatti che il modo migliore per prevenire l’infezione da Hiv sia non avere nessun contatto con le persone sieropositive, 2 su 3 continuano a sentire disagio e preoccupazione a frequentare una persona con Hiv.

Benvenuti nell’Italia del 2014, dove la disinformazione sull’Hiv e lo stigma verso chi ne è portatore è ancora duro a morire. A rilevarlo è GfK Eurisko che, con il supporto di Gilead, ha realizzato un’indagine che conferma l’atteggiamento ambivalente degli italiani: sicuri di essere dalla parte del giusto e perciò immuni da ogni possibilità di contagio. 

Se si chiede loro, infatti, se si sentono a rischio di contrarre l’Hiv, 8 su 10 rispondo di no perché confidano nelle proprie abitudini e comportamenti. E poi, la gran parte degli intervistati sono convinti che l’Hiv sia una faccenda da tossicodipendenti, persone con relazioni promiscue e omosessuali. Anche se l’epidemiologia dice che oggi oltre il 40% delle diagnosi di Hiv riguarda gli eterosessuali.

«Questi risultati dimostrano quanto oggi la percezione del malato di HIV sia ancora legata a stereotipi e false credenze dovute probabilmente a carenza di informazioni», commenta Isabella Cecchini, direttore del Dipartimento di ricerche sulla salute di GfK Eurisko. «Carenza di informazioni che rischia di penalizzare soprattutto i più giovani, che per scarsa conoscenza e consapevolezza arrivano a ghettizzare, in 9 casi su 10, i malati di HIV nella categoria dei tossicodipendenti. Anche questo conferma che nonostante siano passati trent’anni, si tende ancora a considerare l’HIV come un problema che non ci tocca direttamente, e per paure - basate molto spesso su una conoscenza stereotipata della malattia e del paziente - si tende a rimuovere il rischio personale».

E le conseguenze possono essere disastrose. Come dimostra l’atteggiamento degli italiani verso il test dell’Hiv. Meno la metà degli intervistati (46%)  indica il test Hiv come possibile strumento di prevenzione e controllo, mentre solo il 3% vi fa ricorso. 

E invece sottoporsi al test è non soltanto un atto di responsabilità verso gli altri, ma anche una   scelta furba per se stessi: «Non va mai sottovalutata l’importanza della diagnosi precoce dell’infezione. È infatti dimostrata la correlazione tra l’inizio precoce delle terapie e l’incremento della durata della vita e la riduzione di comorbilità», spiega Andrea Antinori, Direttore Malattie Infettive all'INMI Lazzaro Spallanzani di Roma. 

Invece gli italiani, nel 50% dei casi arrivano alla diagnosi di Hiv quando la malattia è in fase avanzata e un 15-20% di chi ha contratto il virus non ne è a conoscenza. 

Di chi è la colpa di tanta ignoranza? Per Rosaria Iardino, presidente onorario di Network Persone Sieropositive (NPS) Italia Onlus, buona parte della responsabilità spetta «alle Istituzioni politiche. Da anni non si sente più parlare di HIV: a risentirne sono gli adolescenti, che si apprestano alle prime esperienze sessuali, e i giovani adulti eterosessuali che rappresentano oggi la popolazione a maggiore rischio di contrarre l’infezione».

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