Il segreto della salute è nell'intestino

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Il segreto della salute è nell'intestino

di Sabrina Valletta
Nel trapianto di microbiota una possibile soluzione a tante malattie: da diabete e obesità, fino ad autismo e sclerosi multipla

Il segreto per mettere ko alcune gravi malattie si cela nel nostro intestino. La soluzione per diabete, obesità, sclerosi multipla e autismo potrebbe trovarsi in una nuova metodica medica, il trapianto di flora batterica intestinale (microbiota).

Questa applicazione oggi in Italia viene eseguita solo al Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma, dove già di routine viene usata contro infezioni intestinali potenzialmente letali. L'ateneo romano, dove oggi si chiude il corso “Postgraduate Course GUT Microbiome, Nutrition and Health”, organizzato dall’Associazione europea di gatroenterologia, endoscopia e nutrizione - Eagen, ha anche avviato sperimentazioni cliniche su alcuni pazienti con diabete insulino-resistente in fase precoce e con colite ulcerosa. E presto potrebbe partire un trial clinico sulla sclerosi multipla.

Il trapianto di microbiota fecale (Fmt) è uno dei più innovativi trattamenti del XXI secolo. Gli esperti ritengono che questa procedura, che trapianta i microbi da un intestino umano a un altro attraverso la materia fecale, potrebbe offrire la cura a una vasta gamma di malattie e gettare nuova luce sul ruolo del microbioma in malattie gastrointestinali e non solo. Eseguire il trapianto di per sé è una procedura non complicata: bisogna isolare la flora batterica di un donatore sano attraverso sofisticate procedure microbiologiche di purificazione. Questo liquido viene poi somministrato al ricevente per bocca o per via rettale.

Mentre il trapianto di microbiota fecale è stato dimostrato essere sicuro ed efficace per i pazienti con infezioni ricorrenti da Clostridium difficile, la sua efficacia nel trattamento di altre malattie è ancora da dimostrare. Ma si va ormai sempre di più consolidando l’idea che la flora batterica intestinale sia un tassello importante non solo nella comprensione delle malattie gastrointestinali, ma anche di un’altra serie di patologie, specie quelle che coinvolgono il sistema immunitario: malattie autoimmuni intestinali (come il morbo di Crohn) e non (come la sclerosi multipla). 

«La flora batterica interagisce infatti con le cellule immunitarie che popolano il nostro intestino modulando l’attività di geni chiave per il corretto funzionamento del sistema immunitario», spiega Antonio Gasbarrini, direttore dell’Unità operativa complessa di Medicina Interna e Gastroenterologia del Policlinico A. Gemelli. Non si esclude, dunque, che con il trapianto di microbiota si possa porre rimedio anche a malattie gravi e complesse come la sclerosi multipla, misteriose come l’autismo che non a caso risulta spessissimo associato a numerosi problemi gastrointestinali. 

Al Policlinico Gemelli si è recentemente concluso un trial randomizzato e controllato che ha confrontato l’efficacia del trapianto di microbiota intestinale rispetto alla terapia antibiotica standard con vancomicina nei pazienti affetti da colite da Clostridium difficile recidivante. Il trial, coordinato da Giovanni Cammarota, all’interno dell’Unità operativa complessa di Medicina Interna e Gastroenterologia, ha dato ottimi risultati: dei pazienti sottoposti a trapianto di microbiota, l’89 per cento ha eradicato la malattia, risultato ottenuto solamente nel 23,6 per cento dei pazienti trattati con vancomicina. Alcuni dei soggetti sottoposti a trapianto (19) hanno necessitato di procedure multiple, per un totale di circa 30 procedure totali.

Ulteriori trial clinici attualmente in corso stanno valutando l’efficacia del trapianto di microbiota intestinale rispettivamente nella sindrome metabolica - una condizione che comprende varie condizioni cliniche tra cui diabete e ipertensione - e nella colite ulcerosa. Ma non è tutto. Un ulteriore trial, già approvato dal Comitato Etico dell’Università Cattolica e in procinto di partire ha l’obiettivo di studiare l’efficacia del trapianto nella sclerosi multipla, malattia autoimmune per la quale c’è sempre maggiore evidenza di un coinvolgimento della flora intestinale. I primi risultati di queste sperimentazioni cliniche potranno essere ottenuti già all’inizio del 2015.

L’universo microbiota

La flora batterica intestinale è un mondo di microrganismi che fa molto di più che aiutarci nella digestione. E’ costituita in realtà non solo da batteri, ma anche da funghi e virus, in tutto circa 1.100 specie diverse, che pesano sulla bilancia di ciascuno di noi circa 1,5 kg.

La flora colonizza l'intestino alla nascita: al momento del parto l'intestino è sterile, si colonizza con i batteri materni con differenze tra parto vaginale e cesareo, che alcuni studi sembrano collegare a un maggior rischio di allergie per i bimbi nati con taglio cesareo. Esiste un microbiota comune a tutti (Core microbiota), ma poi ognuno ha le sua peculiarità, possiede particolari specie batteriche ed è privo di altre. 

I batteri e gli altri microrganismi che albergano non sono tutti buoni: tra quelli da temere c’è Helicobacter pylori, causa, tra le altre malattie, dell’ulcera.

Il microbiota invecchia con noi

La flora intestinale risente di numerose influenze ambientali, come la dieta e l’assunzione di farmaci. Ma pare sempre più evidente che essa si modifica anche in relazione all’età dell’individuo, risente cioè dell’invecchiamento.

Via via che invecchiamo il microbiota intestinale subisce una modificazione di composizione; tale modificazione è specifica per ogni singolo individuo, non esistono cioè “pattern” comuni di queste variazioni. Tuttavia la composizione della dieta, l’uso di farmaci, le caratteristiche funzionali, cognitive o la presenza di malattie croniche e di malnutrizione influenzano queste modificazioni.

Studi recenti dimostrano che le variazioni della flora intestinale che si osservano con l’avanzare dell’età si associano a importanti alterazioni del metabolismo degli zuccheri, dei grassi e delle proteine, ma anche dello stato immunitario e infiammatorio del soggetto anziano e per questo possono essere un parametro di misura addirittura della fragilità di un individuo anziano, ovvero di tutte le sue defaillance a livello cognitivo e motorio, o in altri termini di quanto è più o meno in salute l’anziano.