La rivincita di un vecchio farmaco. Battere l'ipertensione con il canrenone

Farmaci

La rivincita di un vecchio farmaco. Battere l'ipertensione con il canrenone

di redazione

Per i cardiologi rappresenta una delle sfide più impegnative della loro professione: curare l’ipertensione arteriosa. Perché in ben due terzi dei pazienti i trattamenti di prima linea, quelli con Ace inibitori o Sartani,  funzionano poco e male: i corretti livelli di pressione sistolica e diastolica restano un obiettivo difficile da raggiungere. Un problema non da poco visto che l’ipertensione colpisce 17 milioni di italiani e può causare gravi complicanze cardiovascolari come ictus, infarto del miocardio e insufficienza renale cronica. È per questo che un gruppo di scienziati italiani si è messo alla ricerca di un nuovo approccio terapeutico scoprendo che la soluzione è più vicina di quel che ci si aspettava. 

La rinascita di un vecchio farmaco

Lo studio Escape, interamente made in Italy, condotto su 175 pazienti con il supporto della società farmaceutica belga Therabel, ha dimostrato l’efficacia del canrenone nel trattamento dell’ipertensione arteriosa, consegnando ai medici impegnati a combattere il “killer silenzioso” (responsabile ogni anno di 7,5 milioni di decessi nel mondo) un’arma che già conoscono e sanno maneggiare. 

Non si tratta infatti di un nuovo farmaco, ma di un medicinale in commercio da anni, già usato come ipertensivo, finora però considerato come un trattamento da “ultima spiaggia”, da prescrivere ad alti dosaggi solo in casi estremi, a pazienti con scompenso cardiaco o altri problemi gravi, per esempio.

I risultati della ricerca italiana pubblicati su Cardiovascular Teharpeutics e presentati a Roma in occasione del 77° Congresso della Società Italiana di Cardiologia, hanno invece rivalutato il canrenone come strumento da usare molto prima, in aggiunta agli Ace inibitori o Sartani e al diuretico.  Anticipando il ricorso al canrenone si sono ottenuti buoni risultati: dopo tre mesi di trattamento con dosaggi bassi (50 mg o 100 mg) nel 70 per cento dei pazienti i livelli di pressione sistolica e diastolica si sono ridotti in modo significativo. Il farmaco non ha dato effetti collaterali sui reni. 

Il nuovo corso della terapia 

Il canrenone deve il suo successo alla capacità di contrastare l’aldosterone, ormone responsabile dell’ipertensione e dei danni che ne conseguono. 

«L’aldosetrone - spiega Giovanni Vincenzo Gaudio specialista in medicina interna Asst valle-olona e coordinatore nazionale studio Escape-IT -  è implicato nel generare o mantenere l’ infiammazione, l’incremento dei valori pressori e il danno d’organo cardiaco e renale, la fibrosi cardiaca e vascolare e l’ipertrofia ventricolare sinistra. Quindi è razionale scegliere una molecola come il canrenone in grado d contrastare gli effetti dannosi dell’aldosterone. Il canrenone è da tempo disponibile in Italia ed ha un basso costo terapeutico». 

In sintesi lo studio Escape ha dato indicazioni chiare sulla nuova strada da seguire per la cura della pressione alta: il trattamento per essere efficace deve basarsi su una combinazione di farmaci, la monoterapia non funziona. Inoltre, ha assegnato un ruolo da protagonisti ai farmaci antialdosteronici, come il canrenone. 

I cardiologi che hanno in cura i pazienti ipertesi rincorrono l’obiettivo dell’equilibrio perfetto tra i farmaci. Generalmente infatti con gli Ace inibitori o i Sartani, trattamenti di prima linea, si ottiene  una riduzione dei livelli di aldosterone che, dopo alcuni mesi di terapia, tendono, però, a risalire nuovamente fino a superare in molti casi i valori iniziali. E così dopo un’iniziale riduzione dei valori, la pressione torna a salire. Questo fenomeno è dovuto al fatto che l’organismo trova sistemi altrernativi per la produzione dell’ormone. Ecco perché un antagonista dell’aldosterone potrebbe aiutare ad ovviare a questo problema. 

«Il canrenone -  afferma Massimo Vanasia, direttore medico della società farmaceutica belga Therabel - è un farmaco messo in commercio nell'82, quindi il costo è molto basso: 40 compresse costano 8 euro per una terapia che può andare dai 40 agli 80 giorni. È un vantaggio per il paziente ma anche per il Sistema sanitario nazionale perché in questo modo si tende a curare più pazienti con un costo minore e ad evitare complicanze, quindi altri costi».

Screening e stile di vita: l’importanza della prevenzione

Da quanto tempo non controlla la sua pressione? La domanda metterebbe in difficoltà molti di noi. Perché misurarsi la sistolica e la diastolica non è un’ abitudine molto diffusa. Eppure il monitoraggio costante potrebbe evitare il peggio.

«In particolare l’aumento della pressione arteriosa produce danni a livello delle arterie dei vari organi, cuore, cervello, rene, retina, a causa del sommarsi di ripetuti microtraumi alla parete vascolare protratti per mesi o anni. Anche il cuore viene danneggiato da elevati valori pressori», spiega Giuseppe Derosa, responsabile Dipartimento Diabete e Malattie Metaboliche Policlinico San Matteo Università di Pavia. «Il cuore è un muscolo e, come tutti i muscoli, quando viene sottoposto ad un lavoro maggiore, diventa ipertrofico. A livello renale, l’ipertensione può produrre una progressiva riduzione di volume e della funzionalità renale con perdita di proteine nelle urine per danno al filtro renale fino all’insufficienza renale. A livello oculare l’ipertensione può portare, negli anni, alla cecità». 

Prima di qualunque terapia, concordano i cardiologi, è necessario intervenire sullo stile di vita, riducendo i ben noti fattori di rischio: sovrappeso, fumo, consumo eccessivo di alcol, sedentarietà, alimentazione scorretta. Quando i i cambiamenti delle abitudini non sono sufficienti, intervengono i farmaci.