Se il tumore della prostata non è aggressivo si può evitare l’intervento

La conferma

Se il tumore della prostata non è aggressivo si può evitare l’intervento

di redazione
La sorveglianza attiva è sicura e risparmia gli effetti collaterali dell’intervento

Non sempre dopo una diagnosi di tumore della prostata è necessario sottoporsi ai trattamenti canonici. Per molti pazienti è possibile seguire da vicino il tumore, facendo attenzione che non diventi pericoloso e, in tal modo, rimandando quanto più possibile e in alcuni casi evitando del tutto l’intervento. 

È quella che viene definita sorveglianza attiva, una strategia proposta ormai a molti pazienti e la cui efficacia e sicurezza è stata ora dimostrata in uno studio condotto da medici e ricercatori dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. 

La ricerca

Lo studio, che è stato pubblicato sulla rivista Tumori Journal, ha coinvolto 818 pazienti con tumore della prostata ad andamento indolente, vale a dire non aggressivo, che sono stati sottoposti a monitoraggio continuativo. Ciascuno di essi è stato sottoposto annualmente a due controlli clinici con palpazione della ghiandola prostatica e a quattro analisi del PSA. Al termine del primo anno dopo l’entrata e periodicamente durante il programma di sorveglianza attiva, è stata inoltre ripetuta la biopsia. 

Di certo non un programma di controlli leggeri, ma nulla se confrontato alla terapia convenzionalmente impiegata in caso di tumore della prostata che prevede l’intervento chirurgico o la radioterapia, entrambi con un elevato rischio di effetti collaterali (primo tra tutti l’infertilità).

«Il dato estremamente positivo emerso dallo studio è che a distanza di cinque anni, il 50 percento dei pazienti è ancora nel programma di sorveglianza attiva. In più, non si sono verificati decessi a causa del carcinoma prostatico e neppure metastasi», ha detto Riccardo Valdagni, direttore della Radioterapia Oncologica 1 e del Programma Prostata dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano. «Questo significa che la metà dei pazienti arruolati, a 5 anni dalla diagnosi, ha potuto evitare gli effetti indesiderati di un trattamento curativo non necessario e quindi inappropriato».

Il dilemma della prostata

Con circa 35 mila nuove diagnosi all’anno, il tumore della prostata è il più frequente tumore maschile. Negli ultimi anni si è registrato un drastico aumento delle nuove diagnosi come conseguenza della diffusione dell’esame del PSA. 

Non tutti i tumori rilevati, tuttavia, sono aggressivi. Tutt’altro: il tumore della prostata è spesso caratterizzato da una crescita molto lenta che non dà segni di sé per tutta la durata della vita. 

In questi casi il trattamento arrecherebbe più danni che benefici ai pazienti ed è per questo che è stata ideata la strategia della sorveglianza attiva. 

«Lo studio è nato da una necessità nota da tempo, che  riguarda non solo il tumore della prostata: ridurre l’overtreatment, vale a dire l’eccesso di trattamenti radicali, il più delle volte gravati da rilevanti effetti collaterali», ha spiegato Giovanni Apolone, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano. «Nessuno mette in dubbio la validità delle strategie terapeutiche disponibili, questo va precisato. Ma nel caso dei tumori indolenti potrebbero essere evitate per tutta la vita oppure posticipate seguendo il paziente in un programma di sorveglianza attiva».